Quello di oggi è un libro strano. Da un lato è un lavoro che non vi sposterà nulla e dall’altra è un’anticipazione, non voluta, di quello che è già successo e che abbiamo vissuto di recente. È strano, perché al netto di tutto questo, ti lascia l’impressione che sia un po’ un’esercizio di stile ma è scritto in una maniera così piacevole, elegante e scorrevole che non puoi resistergli. Così rimani combattuto se dare un giudizio netto, come in passato io ho fatto con Stoner, oppure metterti a tavolino e stendere la lista degli aspetti positivi e quelli negativi, che poi alla fine è quello che ho fatto quando l’ho valutato 4 su 5, e promuoverlo.
Ma vediamo di che parla e poi vi spiego il perché.
Milano di oggi
Dopo una serie di casi di suicidio, i giornali si scatenano sottolineandone la serialità e il fatto che siano in vertiginoso aumento. Il comune, sotto pressione, ipotizza prima che sia causato da una nube tossica e poi arriva anche a dichiarare il lock down per tutta la città. In questo contesto seguiamo gli impatti che questa situazione ha sulla vita di un professore universitario, due suoi studenti e un giornalista freelance che guardano al fenomeno con interessi e punti di vista diversi. Tutte queste visioni ricompongono un quadro sfaccettato di una società che si sta disgregando letteralmente sotto il peso della profonda crisi economica e istituzionale e ci permettono di guardare a questo mondo da punti di vista diversi: religioso, analitico, visto dai giovani, gli adulti e da chi, oramai, è alla porte dalle mezza età. Ma per comprendere meglio la storia, bisogna anche guardare ai riferimenti.
I riferimenti
Ce n’è uno solo e Perazzoli lo continua a ripetere qui e lì, ed è La peste di Camus, che non è solo l’oggetto delle lezioni che il professore sta svolgendo nell’università milanese, ma è il vero e proprio brogliaccio su cui l’autore costruisce la sua storia. I miei ricordi di lettura, strano a dirsi perché di libri letti ne ricordo tanti, in questo caso sono un po’ vaghi -non mi deve aver entusiasmato molto quando l’ho letto anni fa-, ma proviamo a trovare le similitudini.
La storia di Camus è ambientata in una città nei dintorni di Algeri, Orano, e inizia presentando una città operosa, dove il benessere è diffuso. Il nostro mondo invece è, sì operoso, ma soverchiato da un apparato istituzionale incapace e clienterale che affossa ogni iniziativa personale sommergendola di burocrazia e tasse portando gli abitanti ad una sorta di oblio attraverso il quale, i più deboli, scelgono una fine anticipata.
La peste di Camus arriva a spron battuto: una moria di ratti mette in allarme le autorità sanitarie e un po’ meno quelle governative che tardano nella dichiarazione del lock down per tutto il perimetro cittadino fino a quando l’ordine non viene da fuori. Nel nostro mondo la chiusura non arriva per la tempestiva azione governativa ma dalle pressioni istigate dai media che non accennano a voler smettere di cavalcare la notizia di cronaca. Ne esce sì, una chiusura come quella che si narra di Orano nel lontano 1947, ma essendo sconosciuto il fantomatico morbo che affligge Milano, è la toppa che evidenzia l’incompetenza governativa e non sembra essere una risposta corretta.
E poi c’è chi la vive la peste

E poi c’è il durante: ovvero quello che avviene tramite i personaggi di queste vicende nel periodo pre, durante e post chiusura. Qui Parazzoli si diverte a cambiare anche ruoli e caratteri: Camus aveva un medico, armato di senso del dovere che trascura tutto fino a mettere in pericolo la propria vita per la collettività e il nostro autore gli corrisponde, in “Happy Hour”, un professore stanco, che non riesce nemmeno più ad empatizzare con la visione dei suoi studenti. Questi ultimi sono figure totalmente differenti fra loro ma ricoprono ruoli funzionali; lei orientata verso una visione e analisi sociale lui, il mondo, lo vede attraverso una religione altrettanto ottusa come le istituzioni. Entrambi però si ritrovano a guardare al romanzo come un testamento per le generazioni future, una sorta di indicazione a cogliere il momento in cui tutto sembrerà perduto per rivoluzionare il mondo che altrimenti andrebbe alla deriva.
Entrambi i romanzi, hanno un giornalista. Quello di Camus rinuncia a tornare in patria e si unisce ai volontari che combattono in prima linea la malattia. Quello di Perazzoli è più intento a sopravvivere, senza un contratto fisso, e a inventarsi lui stesso un profilo nuovo nella categoria dei giornalisti e rappresenta l’esatto esempio del futuro che aspetta chi si affaccia oggi nel mondo del lavoro: niente più contratti fissi o temporanei, nella società che si sta prefigurando, come si diceva anche nella recensione della scorsa settimana, saremo tutti imprenditori di noi stessi, votati più al nomadismo digitale che alla stanzialità.
E quindi alla fin fine
Ti ritrovi alla domanda iniziale: che dire di questo libro?
Sottolineare una sorta di inconsistenza è dovuto perché, nel paragone con il capolavoro di Camus, appare un romanzo un po’ leggero. Invece no, anche “Happy Hour” ha un suo peso specifico. Attraverso la distopia della vicenda narrata ci permette di guardare al contesto che ci circonda evidenziando quanto ci influenzi negativamente ed emotivamente. Ma questo evento pandemico, grazie anche al riferimento epico, appare fugace come l’unica parabola che questa vicenda segna sulla rappresentazione noiosa e lineare della vita del professore.
Ne conseguono una serie di considerazioni a valle che sono sostanzialmente negative: saremo sempre quel popolo di giovani che sogna in grande e che poi la società ridurrà a fare gli stessi errori dei padri. Ma c’è anche un’anticipazione di quello che sarebbe successo ad un mese dall’uscita del libro: non solo il lock down, ma anche il fatto che i tantissimi propositi fatti in chiusura si sarebbero poi non realizzati al momento del ritorno alla normalità. Attenzione però, in questo caso non ha un aspetto negativo è piuttosto una rappresentazione fedele dell’impatto che la pandemia ha sempre sulle vite delle persone. Paura, dolore, impotenza, la solitudine prima o poi finiscono e fra un anno saranno, per chi non ha vissuto perdite, solo un lontano ricordo.
In conclusione
È per questo che per me non sposta nulla. Ma una qualità ce l’ha eccome questo lavoro: nonostante la complessa e articolata citazione ha uno scrittore eccezionale a raccontarla con una talento direi raro. Uno stile narrativo, con influenze del passato e del presente, così elegante, sicuro e scorrevole da risultare estremamente piacevole da seguire. Ed è per questo che rimani affascinato, passi sopra alle magagne di personaggi che fluttuano nella vicenda senza molto senso, e arrivi alla fine. E gli dai un voto sostanzialmente alto, consapevole che te lo ricorderai più per la casualità dell’anticipazione del lock down che per la storia.
Quindi se vi capita, io non me lo lascerei sfuggire.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Happy Hour
Ferruccio Parazzoli
Rizzoli Editore, ed. 2020
Collana La Scala
Prezzo 18,00€