Benvenuti nel diario di un mese di libri. Il diario è un post, mensile, lungo, molto più dei miei soliti, ed è per questo che può esser letto in tutta tranquillità e visto come un modo di sbirciare, a tutto tondo, nei libri di cui mi circondo.
Per chi è nuovo della serie, funziona sostanzialmente così: a mano a mano che escono le recensioni dei libri citati sia nei box qui sotto e sia nel testo, io aggiungo il link diretto. Così è anche più facile avere una panoramica e scegliere cosa leggere. Mano a mano usciranno nuovamente anche i post vecchi, come le recensioni cui faccio riferimento nel testo, che devono essere riadattati. A me, invece, serve per vedere quanti libri compro e quanti ne finisco. Tutti contenti, no?
Libri comprati
- Pyongyang Blues, Carla Vitantonio – Add Editore
- Il lanciafiamme, Roberto Altr – SUR Edizioni
- La partita perfetta, Michael Shaara – 66thand2nd
- Il curioso caso di Sidd Finch, George Plimpton – 66thand2nd
- Un taxi chiamato fedeltà, Patti Kim – 66thand2nd
- Taci memoria, Maxim Biller – L’orma Edizioni
- Ologramma per il re, Dave Eggers – Mondadori
Libri Letti
- Il codice dello scorpione, Arturo Peréz-Reverte – Rizzoli Editore
- Pyongyang Blues, Carla Vitantonio – Add Editore
Libri regalati
Libri in lettura
- Abbiamo sempre vissuto nel castello, Shirley Jackson – Adelphi
- Seni e uova, Mieko Kawakami – Edizioni E/O
- La Corea di Kim. Geopolitica e storia di una penisola contesa, Stefano Felician Beccari – Salerno Editrice
- Dieci incredibili giorni, Ellery Queen – Mondadori
E chi se lo aspettava che Febbraio mi avrebbe riservato una simile sorpresa? In effetti non ho letto molto all’apparenza ma quel che ho letto me lo sono proprio goduto fino all’ultima parola. Il libro del mese di Febbraio, seppure anche Pérez-Reverte mi sia molto piaciuto, è quello di Carla Vitantonio. Come detto anche altrove, da qualche giorno ho festeggiato, si fa per dire, un anno di smartworking e quando lavoro ho preso l’abitudine di ascoltare i podcast, che prima erano relegati al tragitto casa ufficio, lungo tutta la giornata. Ma visto che quelli che mi piacciono hanno uscite periodiche e non giornaliere, ad inizio settimana sono sempre lì a cercare cose nuove da ascoltare e, giusto all’inizio di Febbraio, mentre cercavo qualcosa che mi parlasse della cultura coreana mi sono imbattuta nel podcast Pyongyang Blues ed è stato amore al primo ascolto.
Pyonyang Blues, di ricordi dall’armadio de L’Avana

Il podcast realizzato nel 2020 e il libro uscito nel 2019 vivono una strana simbiosi: tu ascolti e poi leggi, e la storia si arricchisce di particolari, musiche, immagini e soprattutto della voce di Carla che è unica, ironica, a volte sagace e a volte appassionata e non puoi assolutamente non lasciarti coinvolgere. Al di là della testimonianza più unica che rara di una persona che è vissuta ben quattro anni nel tessuto urbano e provinciale della North Korea è ancora più importante perché, a fare questa esperienza in una nazione, che più patriarcale non ce n’è, è il fatto che sia stata una donna.
Ma Carla non è una donna qualunque e inizia il suo libro mettendo le carte in tavola: stufa del precariato decide che andrà nell’unico luogo della terra dove tutti le dicono che non potrà mai vivere e lavora duramente seguendo prima un master in Italia e poi con un anno di stage in Corea del Sud. Entra nella Corea del Nord come lettrice, per insegnare l’italiano, e poi rimane con un contratto da cooperante.
Un libro difficile da lasciar andare
Esperienza fortunata? Beh, pensando a tutto ciò che ho letto, non potrei dire esattamente così, ma lo spirito di adattamento di questa donna non ha pari come anche la sua ironia che non permette a nessuno di leggere il suo libro senza scoppiare in risate ogni tanto. Alla fine ti manca e infatti rallenti la lettura verso la fine, non perché si rallenti tutto ma solo perché ti dispiace lasciarla. Prossimamente, a Maggio, dovrebbe uscire il secondo libro che stavolta ci porterà in un’altra parte dell’Asia e io non vedo l’ora di ritrovarla! L’armadio, eh lo so che ve lo state chiedendo che c’entra. La risposta c’è ma solo ascoltando Pyongyang Blues che trovate praticamente ovunque, Spotiffy, Itunes, Spreakers e via dicendo.
English time!
No, tranquilli, non comincerò a scrivere in inglese anche se il titolo della recensione di Mr. President sembra smentirmi. Però questa cosa la volevo proprio dire da qualche parte e precisare che nessuno mi paga per farlo. Una delle cose che la pandemia mia ha regalato è che sono diventata stranamente brava a leggere e ascoltare l’inglese, indipendentemente da chi lo parli. Oddio, quando biascicano troppo e si mangiano le parole meglio ascoltare con i sottotitoli, però mi sono accorta di capire il senso delle frasi anche se non conosco il significato di tutte le singole parole che la compongono.
Pensavo fosse un errore e invece mi hanno detto che sono sulla buona strada. Prima di arrivare al punto chiariamo una cosa: non è vero che ci sia arriva tutti allo stesso modo. Se qualcuno vuole imparare una lingua nuova in maniera non tradizionale e lunga non è assolutamente vero che basti solo leggere oppure guardare i film sottotitolati; la questione va vista in un altro modo, ovvero, si apprende una lingua se si ha qualcosa che risponda al proprio interesse da seguire.
Il mio segreto sta nelle pessime traduzioni in italiano
Nel mio caso erano i drama asiatici, che non sono “drammi piagnoni” (altrimenti col cavolo che imparavo l’inglese!) ma possono essere gialli, d’amore, adolescenziali, da adulti etc. Quello che distingue queste serie TV dalle nostrane è il fatto che non siano lunghe e per molte di loro esiste una sola stagione.
Io ho cominciato a entrare nel tunnel con il coreanissimo successo di “My love from the stars“, ebbene sì una sorta di young adult d’ammore ma che fa anche molto ridere e con un dorama giapponese “Million Yen Women” che è tutto l’opposto ovvero a metà fra un noir e un thriller in sei episodi. Eh nulla, non ne sono uscita più e probabilmente un giorno vi spiegherò in un post apposito che ci trovo di tanto interessante. Comunque, quello che hanno in comune queste serie giapponesi, cinesi e coreane è che le traduzioni in italiano sono pessime traduzioni al limite della bocciatura. E quindi quasi tutte le ho seguite con i sottotitoli in inglese.
Il cast di My love from the star e la scena iconica del dorama Million yen women
Per non perdere questo inaspettato successo
Per una come me che un po’ lo capiva l’inglese, ma molto poco, il fastidio di dover interrompere ogni secondo per capire che c’è scritto sotto, che una frase in coreano di tre parole sono venti in inglese, mi ha aiutato ad essere più smart e la noia di doversi cercare vocaboli all’infinito e la ripetitività dei dialoghi più semplici mi ha aiutato a memorizzare, a quanto pare, un sacco di parole.
Ecco mi chiedevo come non perdere questo successo che è davvero inaspettato, e la mia soluzione è stata Italki. Nonostante io ami le piattaforme che sono in linea con il mio ritmo di apprendimento e nel caso specifico sono corsi preregistrati e impostati, tipo ABA English o Udemy, per non perdere il guadagnato dovevo metterlo in esercizio e quindi parlarlo. Premettiamo anche che io seguo molti bookblogger e vlogger americani e inglesi, nonché creator in generale e via dicendo e quindi di qui si capisce ciò che vi sto per dire…
Se ti mancano le basi, mi sono detta, non resterà
Italki, non mi chiedete da quanto c’è perché non lo so, invece mi ha permesso di scegliermi un’insegnante, in questo caso italiana per capire le regole, che mi permetta di fare, per la maggior parte del tempo, conversazione e mi aiuta a capire le regole di base della grammatica e in più in particolare i maledetti verbi. Figuratevi la mia faccia quando nella lezione di prova (perché ci sono le lezioni di prova, eureka!) ho conversato con l’insegnate per ben dieci minuti!
Quando ho realizzato quel che avevo fatto quasi non riuscivo a crederci e quindi ora due volte a settimana converso e rivedo i miei homework. E devo dire che continuo ancora a stupirmi anche se c’è da dire che lei, la mia insegnante, è stata ed è molto brava a capire sia le mie attuali conoscenze che il mio continuo stupore. Intanto, l’effetto più bello, è che ho smesso di leggere tutto al presente che, diciamocelo, è un gran passo avanti! Ma ora che ci siamo fatti i cavoli miei, passiamo ai libri?
66THand2nd e i suoi libri
La casa editrice con il nome più complicato dell’universo da dire e anche da scrivere. Ci ho messo anni a pronunciarlo correttamente e solo grazie a Irene! Ora, se uno pensa a 66THand2nd, deve pensare ad una casa editrice molto particolare: uniscono letteratura contemporanea, a volte anche sperimentale, ad un catalogo che spazia dalla narrativa di vario genere arrivando fino allo sport. Di qui si capisce perché mai bisognerebbe abbandonare un loro titolo al mercatino e tanto meno all’usato di Libraccio ed è proprio su quest’ultimo che ho trovato i libri presi.
La partita perfetta(2010) e Il curioso caso di Sidd Finch (2012) corrispondono al periodo in cui io li ho conosciuti e ho conosciuto la fiera di Più libri più liberi. Nel caso specifico io all’epoca comprai Il sogno di Walacek di Giovanni Orelli che era un libro ardito con una formula visionaria per raccontare il passato attraverso il mistero di una “O” tracciata dal pittore Klee.
Oriano e Walacek: storia di una “O” dipinta e di un giocatore di calcio serbo
Era un libro d’impatto che non ho mai recensito per paura di non essere all’altezza di raccontare cotanta bellezza ma di cui ricordo, non il titolo che me lo devo sempre andare a cercare, ma la storia. Sono quelle che ti si appiccicano addosso perché ti hanno colpito in piena faccia. Non ci sono mezze misure. Sta tutto lì, scritto nero su bianco e con una scrittura a metà fra il sogno onirico e la sperimentazione di rimandi iperbolici, la storia della “O” dipinta su un articolo di giornale da Klee che racconta di un giocatore di calcio, che ti si palesa chiaramente, e il percorso che fai per scoprirlo è così particolare da essere praticamente indimenticabile.
“La partita perfetta” di Billy
Ecco, i due libri acquistati sono della stessa collana e dello stesso genere; La partita perfetta racconta la storia di Billy, giocatore e campione di baseball, che un bel giorno scopre di essere stato venduto dalla sua squadra e lasciato dalla sua fidanzata e che si appresta a giocare l’ultima partita proprio nella squadra che lascerà. Libro di sport, in parte, la seconda di copertina anticipa che la partita per Billy sarà un momento per ripercorrere quello che ha fatto nella sua vita e nella sua carriera e quindi, potrei ipotizzare, che sia considerabile come un romanzo di formazione.


Il futuro monaco buddista che giocava a baseball
Tra i due la storia che mi attirava di più era questa, ovvero quella di un giornalista e scrittore reduce alla guerra del Vietnam, che per ritrovare la propria vena creativa si ritira un po’ dal mondo finché non scopre che nelle file dei Mets è arrivato un formidabile lanciatore che però vuole diventare monaco buddista e che si fa chiamare Sidd in onore di Siddhārtha. Il suo talento innato è chiaro a tutti ma il giovane non è ancora convinto che la carriera atletica sia la scelta giusta. Bello no? C’è anche una fidanzata, tanto per gradire, io direi che promette bene!
Patti Kim o Kim Patti?

Ma che potevo perdermi un libro coreano? Giammai! Ero sinceramente convinta che di letteratura coreana in Italia ce ne fosse praticamente nulle e, invece, chi ti trovo tra i libri di 66THand2nd? Lei! Kim Patti, in Asia usano mettere il cognome prima del nome e meno male che io sono nata italiana che con il mio la gente andrebbe via prima che io arrivi a dire anche il nome! Libro del 2011, Un taxi chiamato fedeltà, all’epoca è dichiarato come unico scritto, anche premiato, dell’autrice che sembrava aver smesso di scrivere e invece, andandola a cercare, ho scoperto che con il tempo è tornata alla scrittura ma con i libri per bambini.
In un certo senso, sebbene la vicenda sia chiaramente destinata ad un pubblico adulto, qualche anticipazione c’è anche in questa storia che narra della vita e della crescita di Ahn Joo che un giorno mentre sta tornando da scuola vede la madre salire su un taxi con il fratellino. Ha lasciato suo marito e ha lasciato un biglietto alla figlia promettendole di tornarla a prendere. Questo libro racconta di questa attesa infinita e di una ragazzina che, per combattere il dolore dell’abbandono, crea una sorta di doppia vita, quella nascosta di fragilità e quella pubblica sfacciata. Il libro ha vinto il Towson University Prize e secondo me non è malvagio. Intanto ho anche accantonato una “K” per la mia challenge.
Taci memoria, un imperativo che attira!
Nonostante mi possa far guadagnare una “B” il motivo per cui ho preso questo libro è proprio il titolo. Non ho capito molto dalla seconda di copertina ma da quello che ho capito controllando la biografia in terza è una raccolta di racconti, pure sostanziosa per quanto mi riguarda visto che tutti i libri che ho avuto in casa, di questa casa editrice, fino ad ora erano tutti smilzi.
Maxim Biller è un autore cecoslovacco figlio di immigrati ebrei russi che è sempre stato conosciuto come un polemista che collaborava con varie testate giornalistiche finché un bel giorno è uscito in libreria con questo gruppo di racconti definiti come perfetti. Da allora i suoi lavori sono stati molto apprezzati. Che dire, ragazzi, ho fatto un acquistone… vedremo se si rivelerà tale.


Sur, Arlt e la letteratura sudamericana
Da quando Sur è rinata la si ricorda molto più per i capolavori nordamericani che per il reale primo motivo per cui nacque, ovvero portare in Italia, tutta quella letteratura contemporanea sudamericana che c’è e che è davvero d’impatto, ma che da noi è praticamente sconosciuta. Sur doveva essere quello che MinimumFax era per la letteratura nordamericana ovvero, doveva portare nelle case dei lettori italiani, quei gioielli che incontreresti in libreria o sul banchetto dell’usato di uno dei tanti esercizi commerciali sparsi per le strade di New York.
E con i primi gruppi di autori tradotti ci è riuscita tranne per il fatto che anni di Cent’anni di solitudine e similari avevano sfiancato e fatto disamorare anche quelli che come me, che ci avevano già provato a cercare di capire che si scrive in sudamerica.
Perché non compro più ebook di SUR: storia di una dolorosa perdita
Roberto Arlt e Ernesto Sabato furono tra i primi ad essere pubblicati, almeno mi sembra perché sto andando a memoria, e qualcuno dei primi titoli che mi sembra fossero in offerta oltretutto in pack di ebook li avevo sul mio primo Ipad. Peccato che è morto altrimenti potrei dirvi quali siano. Siccome non mi sono mai riavuta, non dalla perdita dell’Ipad bensì dei libri che c’erano dentro, da allora i libri di Sur li compro cartacei e sticavoli dei device.
I lanciafiamme
Chiaramente non mi poteva andare tutto bene totalmente. Sebbene il libro sia concepito come una storia compiuta, ha un precedente libro che si chiama I sette pazzi da cui richiama i personaggi. In sostanza Erdosain e i suoi compagni hanno la, come definirla, brillante(??) idea di finanziare la rivoluzione grazie la gestione di una catena di bordelli. La quarta di copertina recita “L’insoddisfazione e il disprezzo dei personaggi per la realtà che li circonda sono tali da richiedere una risposta estrema: l’uso della violenza diventata così l’unica via percorribile, e permette a Arlt di tracciare ancora una volta un quadro veritiero e profetico del mondo in cui viviamo.” Con Sur è sempre stata una scommessa, ci sono libri che ho adorato alla follia e altri che mi hanno lasciato un pochino perplessa, che dire, vedremo…
Dave Eggers: meglio la rivista o i libri?

Eggers, nostro signore di McSweeney’s, è un altro che si compra a prescindere. In effetti a me affascina più la testa che ha potuto creare MCSweeney’s che effettivamente altro, perché, la rivista è un crogiolo di penne e di redattori illuminati che sono riusciti a creare e portare tanta letteratura contemporanea in racconti, saggi e rubriche in un modo che, secondo me, non ha pari in questo campo. Ma Eggers nella sua scrittura, sebbene abbia delle buone idee di partenza, usa sempre troppe parole, a mio avviso, per arrivare al punto; ne escono storie bellissime ma sfiancanti come è stato per L’opera struggente di un formidabile genio che io finito a fatica e di cui non ho ancora mai scritto.
Diciamo che quando penso a lui penso ad uno scrittore che ha del talento nel selezionare le storie in cui vive immerso ma che a volte sembra troppo influenzato da Wallace per scegliere di essere un sé stesso più vicino a ciò che crea con la sua rivista.
Ologramma per il re
Però Ologramma per il re l’ho comprato anche questa volta per la storia: un uomo che è stato lasciato dalla moglie con una figlia a carico. È senza lavoro, deve pagare il college alla figlia e ad un certo punto tenta il colpo grosso, ovvero lavorare per uno sceicco per creare ologrammi di persone che si possano materializzare nella tenda dello stesso. Un lavoro complesso che porta avanti con una donna nel mezzo del deserto ma che gli permette di cominciare a scrivere alla figlia e a trovare così un mezzo per spiegare a quest’ultima chi è e tutti i limiti che un genitore, che è prima di tutto un uomo e non un supereroe, che deve affrontare.
Arturo Pérez-Reverte e gli altri libri in attesa
De Il codice dello scorpione e degli altri libri ve ne ho parlato nel Diario di Gennaio e di Pérez-Reverte ne abbiamo anche parlato con Irene in una puntata di Recensire andata in onda il 25 Febbraio, mentre con Carla Vitantonio abbiamo fatto una lunga chiacchierata il 18 Febbraio sempre con Recensire e tornerà a discutere del libro nel gruppo di lettura che si terrà il 26 marzo (ovvero stasera!) sempre sul CasaSirio Speaks Social e, secondo me, è una occasione imperdibile perché Carla è un vero spasso come lo è anche il suo libro.
Anche degli altri libri in attesa abbiamo già parlato e quindi, questo mese, direi che ci è anche andata bene perché abbiamo completato il Diario, che esce in ritardo lo so, tutto sommato in maniera veloce, almeno rispetto a Gennaio. No? Siete sopravvissuti? Quindi non mi resta che darvi appuntamento al prossimo mese.
Buone letture,
Simona Scravaglieri