Nonostante dopo la Cripta di Cappuccini abbia letto molti altri libri, la mia attenzione, in questo momento, è su “La vergogna” un libro che, tecnicamente, non avrei dovuto avere e nemmeno leggere. Come detto nel Diario di un mese di libri appena uscito, mi fu sconsigliato di leggerlo da una amica e non ricordo molto altro. So solo che, nonostante dimentichi tante cose -tipo per esempio il perché ci fosse un libro della Ernaux a casa-, ricordo l’invito ma non il motivo. Ma il libro c’era e a me serviva una “E” per la challenge a cui sto partecipando e anche uno che non fosse impegnativo fra due che, invece, lo erano, di cui uno finito e l’altro da iniziare. Era lì, e quindi, l’ho letto.
Scene come piccoli pezzi di un puzzle per ricostruire la società perduta
Come scritto nel diario, non è stata la catastrofe che mi aspettavo, anzi è stato anche piuttosto piacevole da leggere, complice questo modo di scrivere così elegante e la formula scelta per costruire e ricostruire le scene, all’apparenza tutte slegate fra loro, che compongono le mille fotografie che, come pezzi di un puzzle, vanno a comporne un ritratto più grande che ci dovrebbe restituire l’immagine della vita di un determinato anno. Il punto focale de La vergogna, infatti, è un fatto singolo che regala all’anno – il 1952- in cui è avvenuto una funzione di spartiacque fra il mondo grande e da scoprire visto con gli occhi di bambina e quello che improvvisamente si palesa pieno di doveri e regole agli occhi della stessa bambina, di cui sopra, che improvvisamente sta diventando grande.

È su questi due mondi che Annie punta il suo interesse e, per raccontarceli, prende in esame alcuni aspetti cardine di quel periodo, che ne rappresentano pienamente le particolarità che sono andate perdute, un po’ come l’ingenuità della bimba. Così, in una sorta racconto lungo, diviso in blocchi tematici o individuati da salti temporali fra un ricordo e l’altro, ci narra di una società suddivisa in gerarchie, non solo nominali, ma divise in quartieri, di scelte di scuole che decretano il futuro degli allievi, le differenze di classe, la vita degli ultimi e quella sbirciata dei fortunati e poi il bar, la messa, la religione e via dicendo.
A volte è solo una questione di punti di vista
Il punto di vista è sempre centrato su quello che lei può vedere, sentire e venire a sapere e tutto il resto rimane escluso allo sguardo del lettore. E trattandosi di una visione di una sola famiglia, all’interno di un contesto molto più grande e articolato e aggiungendo che è uno sguardo da ragazzina e non da adulta, c’è un limite ben definito su quel che vede, che la circonda e che racconta. E questo limite impedisce al lettore di avere un quadro completo e forse anche di cogliere la particolarità della vita di uno specifico status sociale all’interno di un contesto ben più articolato. Oltretutto in un testo che già, dalla sua struttura, non si palesa a noi come un romanzo, ma più come un memoir che fa l’occhiolino ad un piccolo saggio di sociologia.
Un memoir che presta molta attenzione all’aspetto sociologico
Grattando la patina che si è creata sulla memoria, la Ernaux cerca di tirare fuori conclusioni su quello che ricorda di aver visto seppure, non sempre, questo venga interpretato e chiarito nel pensiero della donna ormai adulta. Mi spiego meglio: non ci sono commenti a margine, ovvero, la rigida gerarchia di regole della scuola non ha un commento a latere che ti faccia capire il pensiero del tempo che giustifica la netta divisione fra le alunne poverissime e le altre, e nemmeno un pensiero personale su cosa questo comporti. Viene resocontato solo con gli occhi di una ragazzina che, mancando di sovrastrutture dovute all’esperienza, vede e prende tutto come un dato di fatto senza interrogarsi sul perché ciò avvenga.
Questioni di limiti
Questi due aspetti, il campo su cui osserva, e la quasi mancanza di interpretazione adulta, diventano un po’ un limite per questo scritto che, sebbene mi sia piaciuto, è comunque destinato ad appannarsi nella memoria del lettore proprio per queste “mancanze” che lo rendono più una raccolta di memorie spaiate personali che altro. È per questo che, nel diario, dicevo che mi sembra di aver sbirciato di nascosto in casa d’altri ed è sempre per questo che, trattandosi di uno specchio e una visione così personale, probabilmente sarà difficile da memorizzare.
Ma lo stile “gentile” ti conquista e così ti lasci trasportare senza più pensare al resto

Quel che sicuramente rimane è questo stile “gentile” e d’altri tempi di scrivere, descrivere, sottolineare i vari aspetti. Per certi versi questo fascino di epoche oramai andate, di modi di porsi educati, che oggi sono davvero rari, ti rilassa e tu ti abbandoni fra le righe di questo libro senza starti a preoccupare troppo del resto e ti lasci trasportare da un lato all’altro della cittadina dove viveva da ragazzina.
E poi c’è questa strana struttura che, combinata con la scrittura, dona al genere del memoir un aspetto completamente diverso dal consueto, in cui i ricordi sono per certi versi romanzati, anche se qui e là compaiono interruzioni e annotazioni che sono lì quasi a ricordarti che lo scorrere del tempo, ne La vergogna, non è affatto lineare ma che viaggia secondo la logica di come affiorano i ricordi. Una sorta di diario, con tante interruzioni, che non segue il cadenzato passare dei giorni.
Mi è piaciuto ma il contenuto è destinato a sbiadirsi presto
Il libro sicuramente mi è piaciuto, non è questo gran capolavoro a cui inneggiavano ai tempi in cui uscì, ma è una godibile carrellata di momenti che appartengono ad una realtà storica che io non ho conosciuto. Magari fra qualche tempo non ricorderò le situazioni ma, per contro, assocerò questo titolo all’interessante modo di raccontare un mondo non attraverso ciò che è successo, ma attraverso punti focali sociologici che ne caratterizzano le particolarità della società in cui avviene. Formula che nei memoir non è utilizzata; in maniera così netta la si può trovare nei saggi sociologici che però hanno una struttura e una narrazione differente, ma è anche parzialmente usata, o meglio era in voga, qualche anno fa nella narrativa, con soluzioni leggermente differenti.
Esempi narrativi di rilievo, le strutture e i contenuti che, secondo me, funzionano
In The White family, Il sale e forse anche ne La città degli angeli (se non li trovate linkati sono recensioni che devono essere ri-editate) gli aspetti peculiari della società vengono spiegati attraverso le vite dei personaggi coinvolti in un fatto iniziale che da il via alla storia. Ma la visione del mondo nel presente narrativo (The White family, Il sale) e il rapporto tra il presente narrativo e il passato (La città degli angeli) sono la base da cui partire per regalare al lettore una visione più ampia, che non si ferma solo fin dove la vista dei protagonisti può arrivare. Anzi è proprio il contesto ad aiutare a capire le dinamiche dei rapporti e dei confronti.
Non c’è molto altro da aggiungere, trattandosi di memorie appuntate qui e lì non ci sono altre cose da dire in merito per non rovinare il gusto della lettura. È sicuramente un bel libro, magari non eterno, ma godibile che ti intrattiene il giusto, ben scritto, e, nonostante le interruzioni temporali, anche scorrevole. Prendetelo come una sorta di passatempo che vi farà compagnia giusto il tempo della lettura, incuriosendovi con pensieri e pratiche non più usuali perché, per molti versi fortunatamente, cadute in disuso.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
La vergogna
Annie Ernaux
L’orma Editore, ed.2018
Traduzione a cura di Lorenzo Flabbi
Collana “Kreuzville Aleph”
Prezzo 15,00€