Mettiamola così: mi sono quasi stufata di provare a dare una forma a quel che penso del libro di oggi. Ho provato a farlo in punta di piedi e il risultato sembrava leccato e senza senso, ho tentato una versione dura e sembrava quasi che stessi cercando il pelo nell’uovo. E quindi, basta, oggi cerchiamo una formula sconclusionata per descrivere un libro alquanto sconclusionato che ha dalla sua l’ispirazione, per certi versi felice, che porta l’autrice a scrivere un romanzo giallo (non thriller, poi vi spiego perché) in una maniera del tutto inconsueta secondo i miei canoni, che cerca di comprendere, oltre a questa strana architettura, una forma scritta propria dei romanzi e una voce che occhieggia favorevolmente anche al mondo young adult. Ma ha anche dei grandi limiti che in parte sono dati dagli spazi che concede a tutti questi aspetti e ad una scelta di struttura che lo rende sia un esperimento interessante sia “un qualcosa” su cui ancora c’è parecchio da lavorarci su.
Ma tiriamo le somme per vedere di che si parla: Mia, giovane figlia di una famiglia bene della città, è sparita nel nulla. Gave è l’ispettore cui è stato affidato il caso e che sa, che qualora sbagli mossa e succeda qualcosa alla rampolla in questione, il padre di lei gli rovinerà la carriera. Colin è un giovane che nonostante la vita gli abbia negato tutto, continua a cercare di rimanere in carreggiata ma, da quando è arrivato in città, non è riuscito a trovare lavori ben pagati. A lui in fondo non interessa diventare ricco, ma ha un segreto e dei soldi da mandare a casa.
La madre di Mia scopre della sparizione della figlia, che non sente regolarmente da quando se ne è andata da casa in aperto contrasto con il padre, e, durante quest’indagine, imparerà ad apprezzare lo stile di vita della ragazza che inizialmente e in maniera alquanto superficiale aveva marchiato come “ribelle”. Mia non è una ribelle ma una che ha avuto il coraggio di rifiutare le imposizioni e di accettarne fino in fondo le conseguenze, trovandosi un lavoro, una casa e degli amici al di fuori dei circoli snob e ipocriti dell’alta società della città.
Detta così non sembra esserci nulla di nuovo all’orizzonte. La novità, o diversità che dir si voglia, sta in come questa vicenda viene narrata: i tre personaggi, che normalmente sarebbero – non tutti – stati secondari alla vittima diventano co-primari e lo fanno narrando in prima persona la vicenda dal loro punto di vista. Quindi, mettiamo in conto tre punti di vista dei quali nessuno è dell’interessata, ovvero la vittima. A questo livello di difficoltà che può generare qualche confusione aggiungiamone un altro: la vicenda viene narrata in tre tempi differenti, e in alcuni punti ce n’è anche un quarto: dopo la scoperta della sparizione di Mia, la fuga di Colin e il suo rifiuto di portare a termine il piano come gli era stato richiesto e alla conclusione della vicenda (quello che compare e scompare è relativo alle fasi precedenti l’evento). Confusione? Eh all’inizio un po’ sì, ma quando fai caso e cominci a distinguere una voce dall’altra la questione si fa interessante. Il problema è che ad una architettura così contorta e studiata, in cui la Kubica riesce a gestire tutto sommato bene tutte le difficoltà che questa scelte generano, corrisponde una storia un po’ fiacca, dei personaggi che non sempre riescono bene e un editing un pochino scadente.

Per cui ti trovi una storia che tecnicamente è abbastanza debole, perché conta sulla struttura per il suo risultato d’effetto e in buona parte ci riesce anche, peccato che in altri invece stagna, perché il periodo di fuga di Colin subisce una fase di arresto perché lui si ferma in un luogo e le ricerche in un altro tempo e in un altro luogo stagnano anch’esse per la difficoltà di trovare, per Gave, l’inizio di questa vicenda. Ci sono personaggi che compaiono e scompaiono subito, utili solo a trovare una giustificazione a qualcosa che, sembra, non essere stata preventivata se non prima dell’ultimo ok alla stampa. Quindi un fidanzato che compare a richiesta un paio di volte, amiche di Mia utili a dare una spinta a qualcosa che altrimenti non andrebbe avanti e via dicendo. Questo perché una storia in cui madre e figlia, finiscono per non conoscersi proprio e a frequentarsi superficialmente da poco scampo per trovare punti di contatto da cui partire. C’è il romanzo e anche qui qualcosa traballa. Ad un certo punto questo giallo, che non ha alcun picco nemmeno nella fase finale, non c’è suspence o altri tipi di effetti, diventa, nella descrizione del post evento, più un romanzo di formazione che altro. E questa parte sembra quasi scollata rispetto l’altra trama se non fosse per l’ispettore Gave che ogni tanto irrompe nella scena a ricordare che c’è ancora un’indagine in atto.
Stona perché questa madre che ha scoperto l’essenza della vita di sua figlia, non ha profondità. Le parole la descrivono elencando cumuli di emozioni, difficoltà nel cercare di ritrovare una nuova normalità, nell’atto di rendersi conto di quello che ha e di quello che invece le doveva appartenere ma tutte queste descrizioni sono fornite più a disegno di una situazione e non sembrano realmente vissute. Sono dovute ma non sono descritte perché sembrino sentite per dirla meglio. Così avviene anche per Gave che sembra una via di mezzo fra un moderno ispettore Colombo e un impiegato qualunque o Colin che sembra più femminile in certe scene di quanto uno si aspetterebbe di vedere dopo determinate descrizioni. Lo young adult? No, non è per il fatto che parlino in prima persona, ma per molte delle frasi scelte nel dialogo fra mia e Colin, alcune situazioni e confronti della loro vicenda che ricordano molto i più patinati libri dedicati ai giovani adulti.
Quindi in sostanza è per questo che è complicato spiegare cos’è questo libro: una promessa o un errore? Di editing e di stampa ce ne sono più di qualcuno, la formula in sostanza mi piace, la Kubika, nonostante la difficoltà generata dai molteplici piani temporali narrati e i molteplici punti di vista riesce a gestire tutto con una certa sicurezza. Quello che manca a questo sistema è la sbozzatura di un qualcosa che sembra ancora ibrido e indefinito, forse bisognava ridurre i punti di vista o forse alternare in maniera diversa i tempi, non saprei. Rimane una storia acerba che non è né carne e né pesce, che voleva fortemente essere un thriller, come lo si illustra, ma che in fondo non riesce ad essere nemmeno un giallo in piena regola perché cede alle contaminazioni di altri generi che ne mortificano alcuni aspetti che altrimenti sarebbero stati di diverso e migliore impatto.
Che dire… Sarà per la prossima volta, Mary!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Una brava ragazza
Mary Kubika
Newton Compton, ed. 2015
Traduzione a cura di Daniele Ballarini
Collana “Gli insuperabili Gold”
Prezzo 5,90€