La lotteria, Shirley Jackson e Miles Hyman – La retta, il disegno architettonico e l’orrore

14 mins read

A me piace Shirley.
A me piacciono tutti quegli scrittori che riescono a condensare un’immagine in un’idea. Questo perché, a quanto pare, il mestiere dello scrittore si può ben paragonare a quello di un pittore: hai davanti un paesaggio bellissimo e devi condensare tutta quella visione ricca di particolari in una riproduzione che, con alcuni tratti ben dosati, renda sulla tela quello che stai ammirando. Bisogna selezionare i pezzi giusti, i colori adatti che diano l’idea di cosa ti colpisca in ciò che stai guardando, e, sta qui, buona parte di quel che si definisce “talento”. Lo scrittore fa la stessa cosa: a volte ha solo un’emozione, altre un’immagine e altre ancora un solo accadimento e deve cercare l’intreccio, la storia giusta che non sempre è, in coscienza, legata, almeno inizialmente, a quella specifica partenza ma che poi, nella lavorazione definitiva, attraverso un processo di selezione raffinazione del testo, spesso regala ai lettori anche quell’evento o emozione che l’ha generata.

La raccolta di cui oggi parliamo è una lettura di qualche anno fa, rimasta sullo scaffale perché troppo geniale e io troppo contorta per trovare le parole adatte a descriverla. Succede ogni tanto. Ma, se dei libri letti negli anni si sbiadiscono nella memoria le storie, gli intrecci e i personaggi, di quelli che si ricordano, a mantenerli vividi, sono proprio le idee a rimanere con noi. Con la Austen ti ricordi la stupidità di una normale conversazione che condanna l’innocenza, con la Jackson ti ricordi che lo stesso orrore dovresti provarlo verso cose o situazioni all’apparenza del tutto normali. E Shirley rende l’idea dannatamente bene nella sua raccolta: una lotteria, una donna dietro le persiane chiuse e via dicendo, sono tutte rappresentate in una situazione normale dove la vita scorre, le persone si alzano, mangiano, escono, ascoltano la radio, fanno le pulizie.

La lotteria, Shirley Jackson (Adelphi, 2007, trad. F. Salvatorelli, presso 10,00€) raccolta di racconti pubblicata da Adelphi edizioni qualche anno fa, l’avevo letta nel 2017

E non servono nemmeno artifici, situazioni rutilanti, sangue o dolore. Non c’è alcuna descrizione cruenta perché, sai che c’è? L’orrore capita prima. L’orrore sta il minuto prima che qualcosa accada e non subito dopo o durante. L’orrore è quella scarica che ti mozza il fiato ed è un’emozione da pochi attimi, non è un picco su una linea retta la cui l’andata e la discesa descrivono un arco, magari anche acuto. No, l’orrore, ci sembra dire Shirley, è un’emozione retta e verticale che compare nella nostra vita, che è una linea orizzontale, interrompendo per un secondo quello che noi ora, per abitudine e noia, guardiamo e non vediamo. È per questo, che l’orrore quotidiano non lo vediamo ed è ancora per questo che, quando si presenta la normalità rovesciata o ingrandita, questa ci colpisce molto più che quintali di pagine con descrizioni cruente. Ed è ancora per questo che questa raccolta, snella, scritta in una maniera contemporanea, nonostante sia un lavoro uscito nel 1948, e con un ritmo costante, si lascia leggere bene e ti rimane appiccicata addosso. Ti rimane l’idea, il fatto che questa sensazione di malessere, che viene da una distorsione universalmente accettata, c’è e fa parte anche della tua vita. Anche oggi.

Ora il lettore si domanderà, com’è che questa, ovvero io, che sta cercando di pubblicare recensioni, ma non riesce ad essere costante (lo so, ma torneranno ricorrenti anche quelle, abbiate fiducia!) oggi se ne esca con un libro che ha letto anni fa. No, non dovevo riempire un buco.
Qualche tempo fa, Adelphi, ha pubblicato un grapich novel, realizzato dal nipote di Shirley Jackson proprio su La lotteria, il primo racconto della raccolta che da anche il nome al grazioso volumetto, che ha scelto un stile ben definito per ripercorrere i passi della vicenda che è protagonista di questa storia. Miles Hyman, questo è il suo nome, completa il volume con un’introduzione di ricordi della nonna con cui pare aver avuto un rapporto inconsueto, rispetto al solito nonna-nipote, ma sicuramente creativo.

Miles Hyman

Ora, per entrare meglio nel mood di ciò che mi appresto a raccontarvi bisogna tenere in considerazione alcuni fattori. Shirley Jackson nasce a San Francisco nel primo quarto del ‘900, vive in un mondo come quello americano pieno di promesse ma che al contempo, per una donna, sono limitate. Se da un lato l’America è la nazione fatta per il mondo di lustrini e tip tap, dall’altro l’emancipazione femminile passa per molteplici lotte, alcune sbandierate e altre quotidiane. Shirley ha vissuto una vita simile a quella della maggior parte di noi, in lotta con l’eterno dubbio se la donna che si è scelto di voler diventare sia la vera donna che siamo, ha lottato contro una madre ingombrante e decisamente critica per la quale la figlia non era adeguata all’immagine di donna e moglie che si reputava conveniente all’epoca, ha lottato mantenendo in vita un matrimonio, con figli, con un uomo, il nonno del nostro coautore, molto meno aperto di vedute di quanto lei se lo aspettasse e in luoghi dove l’integrazione non era cosa semplice da fare. Eppure a 12 anni vince il suo primo premio di scrittura, frequenta e si laurea all’università, scrive ed è molto apprezzata da autori dell’epoca che usa ospitare anche a casa. Shirley, è una che ce l’ha fatta non in quanto abbia pubblicato e sia arrivata a noi, parlandoci ancora di temi che appartengono al nostro presente, ma ce l’ha fatta prima, perché ha trovato il modo di creare e di trasmettere il suo mondo in una maniera così universale che arriva a tutti, anche a chi è solo un appassionato. E lo fa in maniera limpida e chiara!

Hyman ha mantenuto vivo il mood della nonna regalandoci questo meraviglioso e composito volume in cui il mondo di Shirley diventa arte pura, dove il futuro che viene in forma scritta dal passato incontra un presente che lo rappresenta con gli occhi del passato. Colori, il tratto, la geometria degli spazi, il vuoto e dei silenzi si amalgamano in un’unico momento a ricreare un evento come se si stesse svolgendo davanti ai nostri occhi. Hyman non tralascia nemmeno un particolare o una sfumatura, nel suo intento c’è quello di valorizzare l’idea della nonna senza minimizzare il mezzo con cui, da sempre, la Jackson ha trovato modo di comunicare. Uno stile di disegno che ricorda più una rappresentazione architettonica con linee pulite e definizione delle sovrapposizioni delle ombre e delle luci, volti squadrati, colori netti, opachi e basici, vanno a comporre un quadro generale che ti si presenta sin dalla copertina non come una rappresentazione teatrale ma come una vera e propria celebrazione di un rito.

Ed ecco lì, componiamo il puzzle.
[Lei] Una storia che viene dal passato che rimane vera anche nel presente e probabilmente lo sarà anche in futuro. Riesce perché l’idea non riguarda qualcosa di legato ad un presente, ma un atteggiamento umano universale.
[Lui] Una rappresentazione per certi versi di gusto “datato” non tanto per l’adattamento, quanto per una scelta stilistica che è volta a sottolineare quello stile particolare che deve raccontare un’apparente normalità.
[Lei] L’accento su azioni che rientrano nell’abitudinaria normalità dell’uomo: l’entusiasmo dei ragazzi, i ricordi delle lotterie passate, il sindacare su regole o sull’opportunità di cambiarle.
[Lui] Tavole in cui l’architettura e il taglio delle luci sottolineano il vuoto attorno e i silenzi significando al lettore che il vero centro di questo racconto non ha bisogno di contorno ma si nutre delle azioni dei singoli e di un destino beffardo.
E ce ne sono molti di rimandi in cui il racconto si arricchisce attraverso il rapporto simbiotico fra rappresentazione scritta e quella figurata, componendo un unicum che, a mia memoria e nelle mie letture, non ha precedenti e che inizia con l’immagine di un titolo sostenuto da due paia di mani. Potrebbero sostenerlo o potrebbe stare a significare un passaggio di testimone.

Un volume curato fin nei minimi particolari come, per esempio nelle descrizioni degli autori

Mi sono chiesta se sia stato Hyman a darmi la giusta indicazione per raccontare questa raccolta cui sono molto affezionata, ma che trovo difficile spiegare, dopo essermi chiesta che bisogno c’era di lavorare su un qualcosa che era già perfetto così. Invece serviva, serviva a continuare un racconto senza snaturarlo, senza aggiungere seguiti o prologhi. Serviva modificare il mezzo al solo fine di valorizzare e rendere tangibile non solo la storia, ma il punto di vista che la genera. Nel 1948 la Jackson viveva in due mondi paralleli: quelli degli scrittori amici e con la cultura con cui entrava in contatto nel suo leggere ciò che c’era in giro e dall’altra parte, fuori della porta, una comunità che la viveva come un’estranea avulsa da quel luogo. E sebbene Hyman, il marito, alla sua morte abbia speso milioni di parole nel valorizzare il lavoro della moglie rifiutando nettamente la naturale propensione comune dell’associare le storie della Jackson a quello che la colpiva personalmente, “La lotteria” sembra invece essere proprio una condanna, netta e precisa, di atteggiamenti che uccidono l’anima degli ultimi, come l’ha vissuta Shirley. Miles non ha fatto altro che unire la scrittrice al suo racconto, integrando attraverso il disegno, i particolari, luci e ombre anche l’anima di chi l’ha concepita. Una donna definita e netta, forte delle sue battaglie combattute al netto di quelle vinte o perse, umana e sola come chi non ha mai trovato una strada facile, ma capace di isolare il particolare giusto per raccontare un mondo, spogliandolo della sua aura di accettabilità e saturandolo con tutto l’orrore che si nasconde dietro.

Ecco, la mia personale Shiley Jackson è così.
Ora, devo fare una precisazione. Per quanto mi concerne chiunque può leggere e affrontare questa scrittrice come vuole tipo iniziare da un romanzo, o dalla serie TV o altro. Io invece penso che, leggere la famosa raccolta de, La lotteria – che si legge in poco peraltro-, sia l’unico modo per entrare nel suo mondo e capire il suo punto di vista e poi a compendio guardare agli altri lavori e al volume di Hyman di cui abbiamo parlato oggi. Questo per due motivi semplici: l’arte del racconto richiede un focus definito e nella formula del racconto, avendo letto anche Lizzie (romanzo), secondo me, la Jackson rende al suo meglio. Poi, come detto, ognuno fa come vuole.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

La lotteria
Shirley Jackons e Miles Hyman
Adelphi Edizioni, ed. 2019
Traduzione a cura di Franco Salvatorelli
Prezzo 19,00€

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

The Human Zoo: Elena Tamborrino e la pagina "Io e Pepe"

Previous Story

The Human Zoo: con Carlotta Borasio, parliamo di comunicazione, storytelling e formazione

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: