Lo scorso anno ho letto davvero poco per il mio trend solito e non lo dico per altro che per mangiarmi le mani per essermi fatta prendere troppo da cose a cui do molta meno importanza che alla lettura. Però nel 2019 una cosa buona l’ho fatta, a quanto pare, ho acquistato dei libri che, ora, mi stanno dando una grande soddisfazione. Quello di oggi è uno di questi: uno di quei libercoli che tu prendi con poca convinzione perché sono piccoli, hanno un aspetto interessante, ma magari preferisci spendere in qualcosa di più corposo. In questo caso è un errore. Perché in una sessantina di pagine troviamo un racconto lungo ben curato che effettivamente è quello che l’editore presenta: una sorta di spaccato della realtà creativa e una specie di testamento dell’autore che purtroppo è morto. C’è una postfazione molto bella in cui si spiega che la pubblicazione è celebrativa, per un autore caro alla casa editrice. Non ho letto null’altro di Tunström ma, in effetti, dopo questo libro, la voglia di leggere altro è venuta eccome.
Non ricordo di aver letto il nome del protagonista, perché troppo interessata alla vicenda che parte subito o forse proprio che non c’è, ma ricordo di aver registrato però che, ad un certo punto, si dica che l’autore svedese ha un nome impronunciabile e tanto vi basti, che il resto è del tutto ininfluente. Quel che occorre sapere, invece, è che l’autore in questione ha “una frase” e sta vivendo il momento della scoperta, ovvero di dove lo porterà questa frase. Un romanzo altisonante? Una farsa? Un dramma? Non si sa, ma sente l’esigenza di rifugiarsi in un posto che sia al contempo d’ispirazione ma anche “un dove” nessuno lo interrompa ed è per questo che si ritrova a New York a cercare un appartamento dove vivere questa storia segreta con la sua frase. L’appartamento è un prestito temporaneo di un artista, Bendel, che sta partendo e che ha un’unica cortesia da chiedere al suo ospite: portare dei quadri ad una mostra per suo conto. Non ha venduto mai un quadro e non si sente compreso dal mondo che lo circonda, ma continua lo stesso a portare i suoi quadri alle mostre. Poi ci sono Vanessa, Susan e dei fagioli, ma non sta a me spiegarvi il perché.

Il punto in questa storia è questo: l’inizio. Quel punto sospeso in cui tutto deve ancora avvenire e guardarsi indietro è già diventato rinunciare. Quel momento è magico. Qui abbiamo uno scrittore con una frase, Un pittore con una mostra, una modella con una nuova carriera. Sono questi i tre inizi principali che si intersecano come una storia d’amore, quei triangoli particolari che risultano più una farsa satirica rappresentazione dell’abisso in cui cade l’animo umano più che storie leggere. Ma questa storia non è una farsa, non è nemmeno una storia d’amore, sebbene di amore ce ne sia, è solo ed esclusivamente un non sense: il romanzo che doveva essere, il quadro che doveva essere la foto che doveva essere si tramutano in un’altra storia d’amore che sappiamo che c’è ma che non vediamo e attraverso la storia d’amore capiamo la presenza del romanzo che non c’è, del quadro che ricompare e della modella che non può.
Ma, e questo è il senso della celebrazione, possiamo anche sbirciare negli “inizi” di un processo creativo e nel rapporto che l’artista, di ogni genere, ha con la sua opera esperienza che è replicabile meccanicamente ma non rivivibile. È per certi versi paragonabile alla prima volta che leggi un libro che amerai alla follia per sempre o alla prima volta che esci con una persona che tanto ti piace. Potrai rileggere quel libro milioni di volte o uscire più volte con quella persona ma tutto ciò che è stato la prima volta non sarà più. Ecco, ogni artista oltre ha questo ha anche un senso di perdita: quando il tuo lavoro smette di essere solo tuo o viene addirittura venduto e tu non potrai più averlo con te o anche il distacco di non sentirlo più tuo, che non è detto significhi disconoscerlo. Il punto è che il processo creativo ha il suo arco di vita già da prima che l’opera esista, è fatto di idee, pensieri e di passi che si fanno per sondare dove il terreno sia più resistente. Una forma di corteggiamento insistente perché si riveli. E Tunström riesce perfettamente a centrare il ritratto dell’artista e riesce a mettere tutti gli stadi qui raccontati, tutti insieme e in maniera armonica con la sua storia e più riesce anche a creare una situazione in cui questo processo possa essere contestualizzato, la New York di fine ‘900, per creare i riferimenti giusti atti a renderlo vivibile anche all’ignaro lettore che, come me, con una sorta di incoscienza si avvicina a questo scritto.
Rimango sempre stupita e ammirata di come si possa creare quell’incastro perfetto nel mettere un mondo in poche pagine e questo autore non solo ci riesce ma lo fa con uno stile leggero e e scorrevole, con una divertita ironia accompagna con lo sguardo i suoi personaggi evidenziando, come un perfetto caratterista i lati assurdi di una vita che è spesso dimentica della basi che assicurano la sua esistenza rendendola necessaria. Un libro che sono decisamente orgogliosa di aver scelto di portarmi a casa e che consiglio a voi.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Un prosatore a New York
Göran Tunström
Iperborea, ed. 2008
Traduzione a cura di: F. Ferrari
Collana “Narrativa”
Prezzo 5,50€