L’idea era nell’aria già da un anno, ma non sapevo come articolarla, poi, un giorno sono capitata su un podcast costruito un po’ come il catalogo Adelphi che si chiama Archivio Pacifico che ascolto e riascolto spesso. È un archivio di dialoghi che sono “casi unici”, non necessariamente scrittori, in cui l’interesse non è realizzare un’intervista canonica ma descrivere vite di personaggi della nostra storia facendosele raccontare da loro stessi. Ed eccolo lì il principio: smettere di pensare alle interviste, che trovo noiose, e raccontare ciò che vedo, frequento e con cui mi confronto nei toni e negli approcci che ho con chi ne è protagonista. È quindi questo il senso di questi post che mappano un mondo che io posso toccare e ascoltare. È questo il mio The human zoo, nulla di più e di meno, nello stesso spirito con cui Francesco Pacifico cura il suo podcast che è un piccolo tesoro di storie e di pensieri.

Con questo intento, il mio ospite di oggi, ha in comune con gli amministratori della pagina I libro-compulsivi l’idea che fare cultura, e nel suo caso anche libri, sia più un momento di confronto con i lettori e non un semplice lanciare libri o articoli sul mercato in attesa che qualcuno se ne accorga e, in quest’ottica, ha di recente rivoluzionato la gestione della casa editrice riorganizzando il rapporto di CasaSirio con il mercato e con i lettori stessi.
Lui è Martino Ferrario, direttore editoriale di questa casa editrice che nasce a Torino, in un appartamento fra gatti, libri, birre e confronti fra amici, e poi trasferisce la sua sede a Roma a due passi dal Rettorato di Roma Tre e a qualcuno in più dalla Facoltà di Lettere.

Martino è una via di mezzo fra follia e visione pragmatica; sa quello che vuole e non si risparmia e, quando parla dei suoi libri sembra vedergli scorrere negli occhi tutto il lavoro fatto perché quel prodotto prendesse finalmente forma. E’ un lettore, un calciatore, uno che corre (sia per lavoro che per sport), che ama la birra e i panini, non ama le verdure e sogna il giorno in cui avrà il tempo di rifarsi i capelli blu. È un lettore formidabile, attento e curioso, e nonostante sembri parlare pure quando dorme è uno che sa ascoltare e che soprattutto sa osservare. L’ho conosciuto anni fa a Torino, grazie a La Leggivendola infaticabile scopritrice di novità, e ho comprato Raffles che è diventato “amore al primo racconto”. Oggi frequento CasaSirio almeno una volta al mese perché è lì che ci riuniamo con il Gruppo Di Lettura (trasmesso in diretta anche sulla Pagina Fan dell’Editore) e grazie a Martino ho scoperto nuovi libri e autori, discuto su tutto quel che ci passa per la testa e spesso ci diciamo e ridiamo su cazzate.
Il Ferrario nasce in Brianza, quella porzione di Lombardia operosa, verde, ricca di paesi (che non ho mai capito il perché i loro nomi finiscano spesso in “-ate”) e luoghi in cui, qualche secolo fa, si formò anche il Manzoni (io per esempio alle medie a Merate frequentavo una scuola pubblica ospitata nei locali di un ex collegio che, a quanto pare- ma non ho mai indagato a fondo-, lo vedevano studente!). La domanda, sorge spontanea: ma il giovane Martino com’era? Un sereno ragazzo che giocava a biglie o un terremoto (o discolo per i più acculturati)?
Il giovane Martino era il teppista che mi piacerebbe essere ora ma che, per -evidenti e anche non- limiti d’età, non sono più. Detto senza peli sulla lingua, ero una bella testa di cazzo. Se pensi a un qualsiasi reato, tolto quelli davvero grandi, ecco, se andiamo a cercare per bene, non è difficile trovarlo nella mia adolescenza. Se c’era qualche cosa stupida da fare la facevo – e ne andavo pure fiero – non importava che rischiassi la vita o il futuro. Il mio obiettivo era spingermi sempre un po’ oltre il limite (fisico, mentale, etc) e anche se lo facevo in maniera totalmente inconsapevole ero molto vicino a un jackpot. Invecchiando sono diventato meno rissoso, meno testazza, (un attimino) meno provocatorio, ma ho mantenuto un’incoscienza di fondo che mi ha portato, per esempio, a essere qui a rispondere alle tue domande.
E una domanda, che mi faccio ogni volta che incontro qualcuno che legge, è quale sia il primo libro che ricorda di aver letto. Domanda di una che ricorda di aver letto per primo Pinocchio e poi Cuore. A te è andata meglio?

Io c’ho un po’ una memoria del menga, non mi ricordo mai nulla. Se dovessi dire un libro – Topolino a parte, con Topolino ci sono cresciuto! – direi La coda degli autosauri (Guido Quarzo, PIEMME 1997, 6,90€) o Sette giorni a Piro Piro (Dino Ticli, PIEMME 2015, 8,50€), entrambi del Battello a Vapore (collana). Il libro invece che mi ha portato nelle letture da adulto è senza dubbio Lo scudo di Talos di Manfredi (Mondadori, 2016, 14,00€).
In un video, parlando di te e di quando frequentavi la Scuola Holden, hai detto che inizialmente l’obiettivo, iscrivendoti lì, era quello di fare lo scrittore. Hai spiegato che in quel momento, in quel periodo della tua vita, i libri erano diventati una passione e che, come per gli amanti del calcio il sogno recondito è diventare calciatori, per ogni lettore c’è sempre il desiderio di creare un qualcosa di proprio. Bene, oggi sei un editore e, come tale, hai avuto l’opportunità di sbirciare il “dietro le quinte”, litigare con autori, fare editing, leggere molti altri libri. Se tu, in questo momento, avessi l’opportunità di essere scrittore per un anno, uno di quelli famosi e che vendono solo con il loro nome, che tipo di scrittore saresti?

Dato che è una cosa che non rischio assolutamente di fare, mi posso sbizzarrire.
Potrei raccontare che vorrei cambiare la letteratura, che passerei la giornata a scrivere, che mi imbarcherei a fare questo o quell’altro. In realtà sarei impegnato tra il non fare una beneamata mazza e girare il mondo, fermandomi in ogni stadio a vedere una partita, ovviamente condividendo una parte della mia vita coi miei lettori e spendendomi il più possibile per loro, che mi stanno permettendo il cazzeggio brado. Poi scriverei, ma solo se avessi davvero qualcosa da raccontare (a meno che non abbia finito i soldi per cazzeggiare, sia chiaro, lì produrrei come un pazzo).
Arriviamo in tempi più recenti: CasaSirio. Nascita di una casa editrice: ogni idea per diventare realtà ha bisogno di motivazioni forti. Qual è la motivazione o la necessità o forse la visione che ha fatto sì che, da un ritrovo di amici a Torino, nascesse l’esigenza di intraprendere questa avventura? E perché CasaSirio e non un altisonante nome di Casa editrice seria serissima?
Ci sono mille storie sulla nostra nascita: io che lavoravo a un libro di meditazione col gong(!), la nostra casa/comune del secondo anno di Holden, ma se dovessi dare una visione direi che, la nostra, era la volontà di affermare che ci possono essere libri fighi fruibili da tutti, non solo da una fetta di pubblico più “alto”, ma che esistono anche libri “iper mainstream” che possono essere goduti sia dai lettori forti che da quelli che lo sono meno (ovviamente trovando forze diverse all’interno della narrazione).
Sulla seconda domanda faccio un appunto: e che due coglioni sta cosa delle “case editrici serie, serissime“, che devono cambiare la letteratura!
Ci possono essere case editrici che fanno figate senza la pretesa di cambiare il mondo ma solo di intrattenere e raccontare una storia! Cazzo, io lavoro nel settore dell’entertainment – culturale, certo, ma sempre entertainment è – e voglio che i miei lettori siano felici e intrattenuti da una bella storia che, spero, gli trasmetta anche qualcos’altro.
[Appunto di Simona: io lo sapevo che non avrebbe risposto! Faccio pertanto appello alla mia labile memoria per dirvi io perché, CasaSirio, si chiami così: perché, la casa dove nasce, era la casa di Sirio, uno dei due bellissimi gatti di Martino!]

Ma il primo giorno di lavoro di Martino com’è stato? Su che cosa lavoravi?
Credo di essere andato all’Apple Store di Torino a comprare il computer (che uso ancora e coccolo come un bimbo) poi di essere andato agli allenamenti. Volevo mettere subito in chiaro le cose con CasaSirio, fargli capire con chi aveva a che fare insomma.
Sono passati anni da quel primo giorno, siete cresciuti, avete coniato quel ritornello che viene in automatico, agli affezionati, quando ti presenti con “Ciao sono Martino” e uno prosegue mentalmente con “il Direttore editoriale di CasaSirio la casa editrice che pubblica quei libri che proprio non puoi smettere di raccontare” (a proposito, con chi dobbiamo protestare di questa invenzione?) siete cresciuti con la vostra casa editrice, avete creato una piccola comunità di affezionati e amici che sanno che cosa pubblicate e perché lo fate. Marco Cassini (MinimumFax, Sur) scriveva in “Refusi. Diario di un editore incorreggibile” (Laterza, 2008, 9,50€) che fare l’editore è un altro dei sogni diffusi fra gli appassionati lettori come il mestiere di libraio, ma che non è come uno se lo immagina. Nei pensieri del lettore, infatti, l’editore è quello che ha a disposizione migliaia di testi tra cui scegliere da stampare e da raccontare ai propri lettori mentre, in effetti, il lavoro gestionale diventa meno “creativo” e più “amministrativo” in realtà. Bisogna programmare le uscite, gli investimenti nei testi che si pensa pubblicare parlare con tipografi, librai, responsabili della distribuzione, organizzare il lavoro di editor e traduttori e chi più ne ha più ne metta. Ti ritrovi in questa descrizione? Se dovessi scrivere il tuo Diario di editore incorreggibile quali sono le mansioni che descriveresti come più odiose?
Sembrerà una cazzata, ma il nostro payoff l’ho coniato io. Ci è voluto un sacco di tempo, lavoro e test assieme agli altri CasaSirii, ma più cercavamo di evolvere il nostro “Una casa editrice POP” più quello era l’unico modo possibile e immaginabile. Noi pubblichiamo storie, cerchiamo e abbiamo sempre cercato storie, e le storie come hanno iniziato a diffondersi? Col racconto. (questa ovviamente è la versione romantica, in realtà ci sono state valanghe di ore di test e studio e marketing prima di arrivarci, ma il fatto che rimanga ci rende tanto orgogliosi)

Vabbè dai, quale lavoro non ha una rottura di coglioni intrinseca dentro? Voglio dire, altrimenti sarebbe solo una passione e non un lavoro. Io mi annoio ogni volta che sono fermo per più di 30 minuti, ogni volta che non c’è un rischio, un po’ di tensione, una scarica di adrenalina da andare a cercare da qualche parte, però in ufficio le mie 12 ore minimo ce le passo comunque tutti i giorni e sono tanto felice di farlo perché, alla fine dei conti, questo lavoro è davvero una figata. Essendo cresciuto con lavori a stretto contatto con il pubblico, da parte mia (ma so che è solo da parte mia, quindi è una voce fuori dal coro) quello che lo rende meno divertente è la distanza dai tuoi lettori, dalle persone per cui fai i libri a vantaggio di una serie di intermediari cui, in troppi casi, frega più di loro stessi che dei tuoi libri. È per questo che siamo diventati subito attivissimi sui social e sempre per lo stesso motivo è nato CasaSirio Addicted. Io voglio i miei lettori, siano essi stessi librai (e infatti ne sono rimasti parecchi, e alcuni li ho dovuti lasciare con la morte nel cuore perché appartenenti a catene), giornalisti, scrittori o, semplicemente e unica cosa che conta davvero, lettori.
Dopo sto pippone inutile rispondo anche alla domanda. Posso dirti che il lavoro per cui non sono portato è tutta la parte amministrativa, in cui sono solo leggermente meno educato di una scimmia dal culo rosso e altrettanto paziente, mentre, se dovessi ammettere qual è quello che veramente mi fa venire il latte alle ginocchia, l’orchite, la stipsi e compagnia andante, farei venire i brividi a un sacco di persone: non esiste nulla, in questo lavoro (tranne parlare col mio commercialista, ma questo è un altro discorso), che mi sconquassa le gonadi come correggere le bozze. Voglio dire, il primo giro va benissimo, pure il secondo. Ma dal terzo in poi potrei divertirmi di più a scalare un monte in quadrupedia (posizione cui sono molto affezionato, inventata quando ero in seconda media e mi hanno sospeso per la prima volta grazie proprio a quella mossa).

(Simona Scravaglieri)
In parecchi dei video relativi alla rubrica de “Il venerdì dei manoscritti” tu accenni al fatto che ogni casa editrice viene sommersa di proposte di pubblicazione e che, nel momento in cui si tirano le somme, per ogni testo che diventi una possibile e futuribile pubblicazione ci sono, a volte, accese discussioni. Io me la immagino tipo Einaudi che si riunisce con i suoi capi collana per fare il punto sui testi da pubblicare. Non voglio sapere né i titoli e né gli autori, mi interessa però sapere quali siano le caratteristiche per CasaSirio per le quali ci si sia più scontrati. Tipo un libro troppo leggero, oppure troppo romantico, una prosa troppo pesante, il ritmo. Sono curiosa…
Ti dico la verità, ultimamente di discussioni ne abbiamo avute ben poche. Eravamo tutti molto convinti di quello che stavamo pubblicando e siamo stati tutti stregati da quello che pubblicheremo nei prossimi mesi. La grande discussione c’era stata un paio di anni fa su un libro poi uscito con un altro editore, dove eravamo schierati in due fazioni diametralmente opposte, non so tipo i tifosi del Napoli contro quelli del Verona, in cui c’era una parte di noi che pensava fosse una, per dirla alla Fantozzi, “cagata pazzesca” e l’altra parte che invece riteneva “bellissimo” quel libro.
Il succo della discussione non era nessuna di quelle caratteristiche, difficile per noi trovarci in disaccordo su quello, ma sullo spessore. Pubblicare storie mainstream che possono piacere ai lettori alti come a quelli che lo sono di meno richiede una scelta molto precisa di quanti subplot, sottotesti, significati ci debbano essere in una storia che invece è molto raccontabile, quasi high concept. Una parte di noi pensava che quello fosse un romanzo vuoto, vuotissimo, e l’altra che fosse ricchissimo. Alla fine l’ha spuntata il no per poco. In realtà, conoscendoci, quanto sono arrivati dei no così decisi anche i “sì” più convinti avrebbero mollato. Amiamo quello che pubblichiamo, non macchieremo il nostro curriculum con un libro che alcuni CasaSirii non sentirebbero loro.
E ora la domanda delle domande che viene posta da tutti gli intervistatori seri serissimi, tra i quali non ci sono io: Calasso guarda al suo catalogo adelphiano come un percorso fatto di libri unici, come le esperienze. Ferrario guarda al catalogo di CasaSirio come?
Un gruppo di libri fighissimi.
E prima di passare al clou che ha generato questa intervista sconclusionata qualche altra piccola domanda da blogger.
Dal Martino lettore, due libri, che vanno assolutamente letti. Libri talmente belli che consigli a chiunque.
Dico due libri che più lontani non possono essere:
In fondo alla palude di Joe Lansdale (Einaudi, 2019 Super ET, 13,00€) perché, cazzo, Joe per me è la trinità completa. Consiglio questo perché oltre a essere oggettivamente meraviglioso è anche quello più fruibile, ma pure tutti i primi di Hap&Leo o il Drive-In o i suoi romanzi di formazione sono spettacolari.
L’impero dei draghi di Valerio Massimo Manfredi (Mondadori, Oscar Mondadori, 12,00€), perché lui è l’autore che più mi ha svezzato, quello che tuttora compro il giorno dell’uscita e l’unico autore con cui mi è tremata la voce la prima volta che ci ho parlato (non è successo manco con Lansdale mannaggia). Consiglio questo perché è un gioiello meno conosciuto di Alexandros o Lo scudo di Talos, e poi perché sarebbe stato la base della mia tesi di laurea (che non ho mai fatto, ma che sia una testazza lo abbiamo già appurato, no?)


Dal Martino editore quello posato e serissimo, quali libri dovrebbero conoscere i lettori e che magari non hanno avuto il successo che meritavano?
Vangelo di malavita di Claudio Metallo (CasaSirio, 14,00€). Sia Come una foglia al vento (CasaSirio, 10,00€) che Tutti sono un numero (CasaSirio 15,00€) vanno molto bene, ma questo secondo romanzo di Claudio aveva uno sguardo unico (probabilmente) massacrato da una difficoltà di accettare che si parli di malavita come fa lui. Peccato, ma tra qualche anno, quando Claudio sarà uno scrittore noto, verrà rivalutato grazie alla sua rilevanza pubblica.




E da colui che vive dall’altro lato della barricata, escludendo la qui presente sconclusionata che, tanto, fa sempre un po’ come le pare, quali sono secondo te le recensioni vincenti? Attenzione non necessariamente le più belle o quelle che declamano i libri più belli o più brutti. Quello a cui mi riferisco è quella recensione che ti rende necessario andare a comprare il libro di cui si parla. Quali sono le caratteristiche che ti convincono? E il tipo di recensioni che più odi (ricordati che io mi sono preventivamente tolta dall’elenco!)
Leggo poche recensioni, lo ammetto, preferisco Goodreads, e il motivo è semplice: troppo spesso sono tutte uguali. Il focus di tutta una recensione è che il libro è piaciuto al recensore. Ma anche sticazzi, no? Dammi uno sguardo, fammi presente un punto di vista interessante. Raccontami qualcosa che non posso capire da solo.
Voglio dire, è come un primo incontro tra due persone che potrebbero innamorarsi o anche solo tirare una bella chiavata. Vedo che è bella (che nei libri sono la copertina, la quarta, gli strilli) può essere amore a prima vista. Oppure la devo conoscere, capire se ci posso entrare in sintonia, se suona delle corde che mi toccano. E se sono con un mio amico, non è che se lui mi dice “oh zi, quella è figa” oppure e cose simili mi regala qualcosa di più da quanto ho già percepito guardandola. Se invece mi dice “cazzo, pensa che ne sa un fuoco di calcio / noir / cinema / fisica nucleare / gare di rutti…” allora mi si aziona un interesse, una voglia di parlarci, di conoscerla.
Le recensioni che mi fan cagare (odio è un parolone) sono tutte quelle che non hanno un punto di vista, perché, se è vero che tutti hanno il diritto di dire la propria, anche io ho poi il diritto di pensare “sticazzi” e andare avanti per la mia strada.
E quindi arriviamo a Novembre: in una diretta sulla community del CasaSirio Speak Social viene lanciato un nuovo progetto che vede CasaSirio Editore puntare su un rapporto diretto con i propri lettori. Poi quando uno si iscrive si accorge che non è più solo un rapporto “editore-lettore” ma gli addicted che entrano sulla piattaforma hanno un sacco di servizi. Quindi se inizialmente, quando spiegavo agli amici cos’era questa “cosa” la paragonavo alla Netflix dell’editoria, a ben guardare siete più come Amazon Prime: una piattaforma multiservizi in cui ci si iscrive e si trovano contenuti diversi ma che sono tutti orientati al lettore e all’utente. Non avete scelto una formula facile ma, a ben guardare e stando a sentire gli esperti del mondo digitale, tutti i servizi che in rete si orientino su un’offerta diversificata hanno più possibilità di quelle che invece rimangono orientate a un’offerta unica. Qual è stata l’idea da cui siete partiti? In fondo CasaSirio aveva già una sua Academy frequentata e apprezzata, uno zoccolo di lettori sparso per tutta l’Italia che sono affezionati e attivi e via dicendo, cos’è che vi ha convinti che era sano di mente alzare la difficoltà di una gestione già abbastanza complicata?
Siamo ancora all’inizio, ma sul CasaSirio Addicted ci stiamo puntando tantissimo. Siamo nati con un cazzo e un barattolo sul conto in banca, vogliamo fare solo i libri che ci piacciono, essere una di quelle case editrici che pubblica poco ma vende molto e non una di quelle da 50 libri l’anno – di cui molti terrificanti – che vende 300 copie agli amici e parenti degli autori. Ma studiando i bilanci degli editori grandi come noi e pure parecchio più grandi oggi non è oggettivamente sostenibile, non con il modello distributivo attuale. Che sia colpa della distribuzione, di Amazon, dei grandi editori, di Scientology, degli alieni, di Trump e del settore porno che fotte i lettori, a me, non interessa. Non funziona e, quando buco una gomma e quella non va io di solito la cambio. Per capirlo basta leggere i bilanci. Sono pubblici e costano 2,50€ (sì, si può scaricare pure il nostro), e portano in evidenza aziende pressoché insostenibili.
Se a questo sommiamo che molti interlocutori ci avevano oggettivamente deluso, ci stavano facendo perdere la passione per questo lavoro, e che volevamo avere un contatto sempre più diretto con i nostri lettori, ecco che il risultato diventa uno. Dovevamo cambiare le cose, e andare a scoprire quelle carte che finora sono rimaste coperte.
Uno dei nostri punti di forza sono sempre stati i nostri lettori. Sono persone intelligenti, persone di quelle che ci piacciono. E noi vogliamo loro, e vogliamo viziarli essendo il più chiari possibile. Io posso produrre una valanga di cose fighissime, ma per farlo ho bisogno che anche tu partecipi. Parlare di soldi abbinati ai libri nel nostro mondo sembra una bestemmia, e già questo è un inizio. Paghi 10€, hai i libri e un sacco di figate. Ma prima paghi, perché ci sono dei costi da sostenere per produrre cose belle e avere un punto di vista, che non sia dettato esclusivamente da ciò che vende o da soldi che posso spendere tanto sticazzi ne ho altri, ha un prezzo.
Poi abbiamo mantenuto una serie di librerie meravigliose, fatte di librai che sono innanzitutto nostri lettori e persone che vogliamo avere attorno, di cui vogliamo circondarci e avere un ulteriore confronto.

(Simona Scravaglieri)
Il tutto veicolato tramite internet. Il fatto di essere giovani e un po’ pazzi viene sempre visto come un limite, soprattutto in un mondo dove queste cose risaltano come macchie di marmellata su un camicia bianca, ma per noi è un vantaggio. Conosciamo mondi che sono distanti anni luce dalla maggior parte dei nostri colleghi, viviamo una realtà diversa da molti altri, rendiamolo il nostro punto di forza.
Ti faccio un altro esempio di editore che, secondo me, ha cambiato le cose adattandole alle sue regole: Atlantide. Hanno saltato a piè pari la distribuzione, hanno prezzato i libri come mai si è visto fare in Italia e hanno portato avanti la loro idea di libri con chiarezza e fregandosene dei dettami soliti. Il risultato è l’aver pubblicato tanti libri meravigliosi (L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel – Atlantite, 26,00€ – rimane uno dei più bei libri che ho letto nella mia vita) e aver convinto migliaia di lettori.
Hanno parlato di voi. Questo lo sai. E per la prima volta non c’è stato un commento urlato ma siete stati osservati, interrogati, presi per matti o altro. I vostri lettori più affezionati come hanno preso la notizia?
Questa è LA domanda, non una domanda. Alcuni bene, molto bene, altri malino, alcuni guardinghi. Lo zoccolo forte con cui siamo partiti nell’Addicted si fida di noi, sa benissimo cosa siamo in grado di fare e quanto possiamo dare se messi nelle condizioni adatte, gli altri… beh, gli altri lo scopriremo assieme a loro. Le novità spaventano in ogni campo, pensa in uno – come quello del libro – che, ogni volta che guarda avanti, vede quello che per altri settori è preistoria (un esempio: realtà aumentata e virtuale. Nel campo dei libri iniziano a fare capolino i primissimi rudimenti di realtà aumentata, mentre negli altri – dal porno all’immobiliare – già si sfrutta quella virtuale). Con questo, ovviamente, non voglio dire che la nostra idea sia giusta o vincente, voglio solo dire che è un’idea. E, cazzo, io amo sempre chi va avanti a suon di idee.
Inutile che chieda che progetti hai ancora in cantiere, perché sei un creatore di lavori fin da quando ti conosco. Per cui ti chiedo, qual è la cosa, o il lavoro, che speri di non rifare più almeno per tutto il prossimo anno?

Guarda, ormai sono vecchiotto (cazzo, ne faccio 32 tra qualche mese) e se devo dire di avere imparato una cosa – non è che abbia poi molto spazio nella memoria per impararne altre – è non precludersi mai una strada dal principio. Non prendermi per quelli che dicono che “le cazzate fortificano” perché no, quelle le sconti ogni giorno finché non ci metti una pezza, ma solo lasciandosi aperte tutte, e dico tutte, le possibilità, si può fare qualcosa di bello. Quindi non ti dirò che non voglio fare più le notti in ufficio (le farò), viaggi a mille all’ora (non vedo l’ora di riprendere), dormire 5 ore scarse a notte (ogni tanto ne ho bisogno di più, mannaggia alla vecchiaia) e tutte quelle cose. L’unica cosa che mi sono messo come obbligo è non annoiarmi mai. Ecco, quella è la mia più grande paura e la terrò il più distante possibile.
Detto questo quanto hai mi hai maledetto per questa “piccola” intervista?
Bisogna un attimino risistemare la tua concezione di “piccola”, ma mi sono divertito assai 🙂
Aggiungere altro, non credo che sia necessario. Ah, no! Io sono un’addicted, voi?
Avrei potuto chiedere mille altre cose a Martino, dal pensiero creativo che si nasconde dietro la concezione del design delle copertine e del sito, dalla base su cui scelgono i libri e altro ma lui lo dice già, settimanalmente, sui video che fa il lunedì, mercoledì e venerdì sul CasaSirio Speack Social e sulla pagina Fan dell’editore che vi invito a visitare.