
Anche con “Il poeta” ci troviamo nel caso di un libro pescato sullo scaffale di un mercatino e non era la voglia di un nuovo giallo o thriller a spingermi a comprarlo ma l’assedio entusiasta di chi mi ha parlato di Connelly in lungo e largo. Voi ce li avete amici così? Io sì, e sono anche tanti e, alla fine, li leggi questi autori ben sapendo che, se ti piaceranno, ti verrà voglia di comprare altri lavori dello stesso scrittore e ti ritroverai anche tu a cercare altri, perché la giustizia divina ci deve essere sempre, cui raccontare che bel libro hai letto. E, guarda il caso, io ho voi!
Ora, il prode e prolifico Connelly, classe 1956, scrittore e giornalista che è stato a capo dell’associazione del Mistery Writer of America tra il 2003 e il 2004 (nel 2003 hanno conferito il premio addirittura a Ira Levin ma non è rilevante in questo caso ma mi piaceva dirvelo!), ha pubblicato un sacco di libri dagli anni ’90 del 900 in poi, quindi la scelta più ovvia, per una sconclusionata come me, è stata allungare la mano e comprare il primo libro che capitava a tiro. Tanto se è bravo si vede sempre, no? E, maledizione, lo è! Il poeta, quinto libro pubblicato nella sua carriera, stando al suo sito ufficiale, è un lavoro davvero ben fatto, organizzato e scritto come un romanzo, che mantiene il suo aspetto da thriller ma non disdegna di utilizzare i mezzi della narrativa per arricchire e moltiplicare le sfaccettature della vicenda “nera” che racconta. E, nonostante in passato io abbia scritto, più e più volte, che un thriller che superi le trecento pagine rischia proprio di diventare un inutile polpettone, Connelly, con questa commistione di generi ci sa fare talmente tanto che le 500 e passa pagine hanno tutta la ragione di esserci. Sì, l’ho scritto, ma preciso anche che se non lo sai fare e se non conosci a fondo le caratteristiche dei due generi, rimarrà comunque un polpettone.
Denver: è una mattina fredda, siamo sull’auto della polizia su cui, a bordo, ci sono tre uomini. Due sono poliziotti e dietro c’è il fratello di un altro poliziotto. All’interno dell’abitacolo si respira un’aria pesante, l’uomo che sta dietro si interroga sul da farsi, sul capire come dire ad una moglie, sua cognata, che il marito stasera non tornerà. Jack, questo il nome dell’uomo, non ha perso semplicemente un fratello ma il suo gemello.
Denver: redazione del Rocky. È il luogo di lavoro di Jack, lo è da anni, forse troppi. Dovrà presto proporre al suo capo una nuova inchiesta, lui è il giornalista di punta e il suo periodo di lutto è oramai finito. Ma c’è qualcosa che non quadra. Jack avrà l’incontro con il suo capo e la nuova avventura su cui concentrarsi è l’incidenza dei casi di suicidio nei corpi della polizia in America. Agenti suicidi proprio come sembra esser morto suo fratello.
Commistione di generi è la descrizione di questo libro e del suo autore. Quando il romanzo aiuta il thriller? In questo libro ci sono un sacco di morti, c’è un giornalista, dei familiari, i poliziotti, l’FBI, un’indagine un po’ contorta, l’assassino e le sparatorie. Insomma tutto molto thriller e molto americano, ma cos’è che manca? All’apparenza nulla, il problema è che il nostro Connelly non si è fermato lì.
Quel che di solito fa sì che il genere mistery non sia accettato come “pari” della letteratura alta è che è tutto molto diretto: omicidio/ o morte che vi piace di più-> indagine-> soluzione. Il vecchio genere di giallista, che uno si aspettava di trovare tutte le settimane in edicola, era proprio così. Connelly, invece, costruisce la sua storia su una base tradizionale e poi la scrive come un romanzo. Così Jack non è solo un giornalista, il fratello del morto, un figlio e un cognato (che già questo farebbe romanzo), ma è un figlio con la remora dell’essere la pecora nera, un fratello con una promessa fatta e da mantenere, un cognato assente, un uomo frustrato che ha perso quell’amore verso un mestiere che voleva davvero fare. Ha intuito, ha osservazione, vive la storia come un modo per scoprire e finisce con lo scoprirsi. Così il suo personaggio è più rotondo, attraverso le nevrosi, il controllo e la continua verifica del funzionamento di quel gli accade intorno. È quest’ultimo aspetto che fa da ponte fra romanzo e thriller: ricordate il personaggio gregario dei grandi classici? Ecco, Jack, non è poco sveglio, ma è naturalmente impedito, da un patto, ad agire e quindi, attraverso il suo ruolo da spettatore forzato, noi possiamo ripercorrere le fasi dell’indagine e vedere dove le cose non quadrano. Anche le relazioni del personaggio con le persone e l’ambiente circostante principale sono collegamenti fra due stili narrativi che fanno sì che giallo e romanzo siano così strettamente collegati che sembri quasi impossibile disgiungerli ma se guardi all’insieme facendo un passo indietro eccole lì che saltano fuori.

(Wikipedia)
Da un lato c’è la storia di Jack che colpito da un lutto, deve arrivare a patti con il suo rapporto con il mondo, per superare questa prova. È un uomo a metà: è single, ha un romanzo scritto a metà nel cassetto, è uno di una metà di gemelli il cui rapporto è peraltro abbastanza inconsueto. I due non vivono simbiosi ma, in passato sono stati molto uniti. Jack usa il suo lutto per capire cosa c’è che non va nella morte del fratello ma si rende conto molto più tardi che questo è solo un mezzo per altro. L’indagine per lui diventa un mezzo per provarsi su un piano diverso e sicuro: indaga su temi nuovi e in modo diverso da prima come avesse cambiato lavoro ma lo fa per il vecchio lavoro. Aggiungere questa distanza tra due realtà coesistenti gli permette di guardarsi in una maniera nuova. Il rapporto con personaggi forti lo spiazza e lo stressa, il vecchio Jack c’è ancora, il suo mondo sicuro c’è ancora ma la situazione che vive di rimando è in luoghi diversi, con persone nuove che non sono deferenti perché sei il giornalista di punta della testata per cui scrivi, non ti scusano perché sei un figlio o un parente. Anzi Connelly, ci tiene a stressare il suo personaggio e per convincerlo ad andare avanti crea una sorta di strappo: lui può tornare e rientrare nella sua normalità scusandosi, ma non lo fa. È umano, tormentato tra il vorrei ma non posso e il sono e quindi lo faccio. È in questo modo che non ti accorgi che ad un certo punto il fratello scompare e il punto non è più la morte da vendicare.
Dall’altro lato abbiamo il thriller come ce lo aspettiamo: c’è un’indagine, gente che vuole primeggiare, litigate, scontri e anche la storia parallela di uno che, proprio pulito non lo è, segue un percorso per certi versi parallelo. In contrapposizione al mondo pulito esterno, questo protagonista nella sua lucidità rimane cupo, sordo a qualsiasi sentimento e, nel suo essere focalizzato verso un obiettivo, depista le indagine e il lettore portandolo a credere che sia di fronte ad una storia, perdonatemi, “bifronte”, ovvero da un lato chi lo cerca a dall’altro lui che va per la sua strada verso un rendez-vous già prestabilito. Sarà che era anche agli inizi, ma questa parte non sempre gli riesce benissimo, ma l’orchestrazione ha anche un suo fascino e si passa sopra certe sbavature perché la storia ha un suo mood tutto particolare. Tra le sbavature c’è anche il triangolo che si crea lui-lei-l’altro che li fa sembrare tutti sedicenni in preda ad una tempesta ormonale. Diciamo che, non avendo letto altro di Connelly al momento, possiamo dire, che all’epoca non aveva dimestichezza con lo scrivere di sesso e amenità varie. Ci sono scene che si potevano evitare, conversazioni che lasciamo perdere, ma l’utilizzo di questi momenti, la loro distribuzione del testo, è congeniale ad un disegno complesso ma vincente: servono per dare ritmo. L’indagine non può scorrere perché siamo nel caso di una comunione di due generi? L’autore trova la soluzione per non farlo stagnare: tutti i confronti del triangolo fino anche al sesso sono distribuiti armonicamente nella storia proprio per creare dei diversivi, suggerire un indizio ad una storia che si potrebbe arenare, sottolineare il machismo di persone che per il loro ruolo devono essere anaffettivi e analitici sempre, pure nel lavare i piatti!

Ci sono altri espedienti, come il fatto di impedire al parente giornalista di fare qualsiasi cosa. Lui è spettatore quanto noi, il suo resocontare al suo capo, scrivere i pezzi, commentare quelli degli altri ci serve per fare il punto, per trovare lo spazio per spiegare situazioni cardine che altrimenti, in uno scritto così corposo e variegato, passerebbero sotto banco.
Il tutto è scritto in maniera scorrevole, come genere mistery comanda, ma senza tralasciare una sorta di ricercatezza. E a questo si accompagna anche quell’accortezza nel ricercare di essere più aderente possibile alla realtà; una ricerca di verosimiglianza talmente pedante da correlare i fatti con il “dipartimento di studi comportamentali” e in più in particolare con gli studi per i metodi per individuare i killer seriali, che noi da questi lidi abbiamo accennato parlando di MindHunter o nella ricostruzione di una rete, stile ARPAnet dove avviene la compravendita di materiale illegale. Un’attenzione quasi pedante nel ricostruire le scene, nel disegnare personaggio per personaggio perché nessuno venga lasciato dietro, la commistione di generi, una storia di base accattivante e complessa in cui nelle sue pieghe è possibile crearne di secondarie che si traduce in uno strano risultato: questo libro lo puoi anche accantonare durante la lettura e riprenderlo in un secondo momento. Io l’ho fatto più volte perché l’ho aperto intorno al periodo della fiera e ti arrivano migliaia di segnalazioni e, nel riaprirlo, non ho mai dovuto tornare indietro per capire che stavo leggendo dove lo avevo lasciato; in parte perché nel cercare di stare dietro a questo meccanismo complesso ad un certo punto anche tu diventi parte del processo e in altra parte perché c’è sempre un Jack che farà il punto.
Sostanzialmente è così che mi spiego perché chi me lo ha consigliato ami così tanto questo autore. Il suo gusto, da quel che leggo, è particolarmente orientato verso questa produzione fuori da genere che mescola generi per non relegare questi lavori al mero ruolo di intrattenimento. “Il poeta” è come i libri di Zia Agatha, nonostante sai come vada a finire ci saranno sempre delle sfumature che nella prima lettura possono esserti sfuggite e che noterai magari la seconda volta che lo leggi. Probabilmente anche a me è piaciuto per lo stesso motivo ed è per questo che è un libro di cui vi resoconto con piacere. Sicuramente è un ottimo regalo, facendo il calcolo che con 20 euro potete regalare sia il primo capitolo che il successivo.
Buone letture,
Simona Scravaglieri