Passerella ciclo-pedonale sulla Dora Baltea tra Aosta e Gressan.
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"Era di maggio", Antonio Manzini – Il duello della resa finale… #Marco Giallini #5

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Ricominciare un pezzo daccapo, perché ti sembra di non aver centrato il punto, è annoso e, lo è di più, se devi rinunciare a qualche immagine che avevi scritto e a cui ti sei insanamente affezionata. Quella di oggi è la fine delle idee buttate giù per il post che dovevo dividere in due libri a causa della necessità di  partire da altri presupposti visto che le ultime due puntate della serie TV fanno un ulteriore passo avanti, come lo fa anche il nostro autore quando comincia a concepire i suoi romanzi come serie incatenate fra loro. Anche quello di oggi è un libro autoconclusivo ma è anche un lavoro che prepara il libro successivo, uscito nel 2016, che apre la seconda stagione della serie TV che sta andando in onda questi giorni e che si intitola “7-7-2007”.

Siamo, manco a dirlo, sempre ad Aosta (ma questo è l’episodio più movimentato tra viaggi verso Roma e Pesca). Schiavone è da poco riuscito a liberare Chiara, la figlia dell’imprenditore valdostano che si era trovato in mezzo in un caso di strozzinaggio anche per colpa della banca e della sua direttrice, la dottoressa Turrini, che ha cominciato, senza alcun motivo, a rifiutare qualsiasi forma di finanziamento. Risultato: ragazza liberata, direttrice licenziata, imprenditore che fa le spese di una sospetta infiltrazione mafiosa che non c’è stata e viene penalizzato per l’ennesima volta nella gara di assegnazione di una ristrutturazione/costruzione di edifici della pubblica amministrazione vedendo sfumare un affare da milioni. Nel frattempo il nostro vicequestore, sulla carta è già residente in un albergo mentre in TV sta schivando i parenti di Chiara che vorrebbero ringraziarlo.
Intanto in carcere è finito il proprietario della famosa pizzeria, mentre un certo Cutrì sembra svanito nel nulla, i genitori di Max, il ragazzo di Chiara, continuano a vivere la loro vita lussuosa circondandosi dell’alta società di Aosta e di qualche personaggio meno pulito mentre il loro figlio, stanco di tanta ipocrisia e certo che tutta la sporcizia non sia andata via con il licenziamento della madre cerca le conferme ai suoi dubbi.
Ma in carcere l’arrestato non solo non parla ma viene fatto fuori durante una strana rissa e a Schiavone tocca tornare in servizio per risolvere l’ennesimo caso, mentre passato e presente si intersecano per complicargli la vita.

Riuscire a sincronizzare tutto è davvero una vera impresa. “Era di maggio” però ci permette di fare un po’ di confronti fra lo Schiavone di Giallini e quello di Manzini, che sostanzialmente sono gli stessi, ma presentano anche qualche diversità. In fondo sono entrambi di Manzini, il primo è lo scrittore quello che sul gatto delle nevi in vacanza chiedeva ironicamente alla sorella “E se passassimo con questo macchinario su un cadavere?” e che si è ritrovato per un’intera vacanza a scrivere “Pista nera”; l’altro Manzini è quello che ha visto crescere il suo personaggio negli anni, romanzo dopo romanzo e racconto dopo racconto, ha ascoltato le domande e le perplessità dei suoi lettori con interesse sempre vivo, ha sentito pareri e avrà letto anche le recensioni. Questo Manzini è lo stesso di prima ma, come avviene con il suo personaggio, è anche sostanzialmente diverso: è cresciuto, è diventato uno scrittore più consapevole dei propri pregi e degli errori e magari anche è diventato anche un po’ più saggio. Quindi il Rocco che ci troviamo qui, sospeso fra i tre tempi passato-presente-futuro si svela in tv come sulla carta, nel lontano 2015 ha fatto un po’ meno.

Rocco in entrambi i casi ha capito una grande lezione che non si può insegnare perché è come sapere che cosa c’è dopo la morte: lo sai solo se ci passi anche tu. Vale anche per la vendetta: la vendetta non vendica, ma chiama altro sangue, è come un’infinita catena che si ripete mietendo vittime ai lati delle varie barricate che si sono create. È forse per questo che l’ennesima vendetta proveniente dal passato lo lascia senza fiato.
Fin qui è stato sempre tutto similare, ma è in questo momento in cui le sfumature fra la prima versione e la sua revisione del 2016 divergono un po’. Il Rocco che sulla carta ha sempre ricordato ai suoi lettori quel fattaccio e questo mondo che lo separa dal suo amore per la vita, in TV, diventa invece l’ultimo degli sconfitti. Rimette in discussione tutto quello che abbiamo visto nelle precedenti puntate e alcune frasi o atteggiamenti accennati diventano più chiari: il Rocco dei Loden e delle Clark non c’è più per un attimo. La protesta era l’ultimo baluardo a cui attaccarsi in questa vita dove tutto non è più come prima e oggi anche questa protesta perde la sua importanza, i contorni si sfumano come le facce dei suoi collaboratori in quella casa piena di uomini della scientifica che fanno i rilievi.

Il vice questore Schiavone soverchiato da tutti gli avvenimenti diventa un uomo solo e le indagini pubbliche e private cominciano ad assomigliarsi perché condotte in solitaria, senza il coinvolgimento di chi pensa ma con il contributo con chi invece fa solamente, senza collegare o pensare.
Strano a dirsi ma è qui che si torna daccapo, a quello Schiavone che è arrivato circa nove mesi prima ad Aosta perché Manzini ci permette di guardare quel momento in cui ha perso tutto e non ha null’altro da perdere se non la vita che, peraltro, non gli appartiene più da parecchio; è una vita che vive come un intermezzo, nemmeno tanto divertente, che lo separa dalla sua unione nuovamente con Marina.
L’indagine ufficiale prosegue con un evocativo soggiorno in carcere che gli permetta di “annusare” l’aria, come fosse un cane da tartufo, e con lo stesso metodo corre a Roma per ri-annusare l’aria da cui è certo sia partita la vendetta. Le indagini si susseguono parallelamente anche se, per dovere di sequenze televisive e di racconto sembrano slegate o fatte in tempi diversi. Sulla carta è resa con l’accelerazione per ogni scoperta del ritmo della narrazione che ti fa sembrare che stia per succedere subito dell’altro e nella trasposizione televisiva invece è intervallata da mucchi di carte depositati dagli zelanti aiutanti e telefonate agli amici, istituzionali e non.

Giallini ha recentemente dichiarato in un’intervista a FanPage che il ruolo di Schiavone gli piace perché in fondo si assomigliano. Io credo che gli piaccia di più perché questa somiglianza, come sembra dedurre ad un certo punto anche lui, gli permette la massima possibilità di espressione, anche perché un collaudato sceneggiatore come Manzini sa mantenere un buon equilibro fra parlato e quel “non detto” in cui Giallini, con quell’impronta da attore di teatro che si porta dietro, riesce a dire molto più di quanto le parole possano esprime in determinati casi.
Avviene in particolare per la resa finale, quella che chiude il romanzo e la prima stagione della serie.
Schiavone si è arreso mille volte ma, come ho già detto in un precedente post, forse proprio in quello di “Pista nera”, sembra, nella sua distopia personale, guardare lo strapiombo, giocare con le vertigini che provoca l’altezza ma ancora tentenna trattenuto dal quell’istinto di conservazione del tutto umano; è un istinto che sembra odiare e che combatte con tutte le sue forze. Come quando si ritrova fra le rovine romane di Aosta urlando “Sono qui!!” o quando, guardando, la sua Marina dice “Ci stiamo per rivedere”.
Sono affermazioni che fanno a pugni con la ricerca di una casa, con la voglia di stare vicino al suo amico Seba, di fare l’ennesimo dispetto a D’Intino e al suo collega requisendo gli evidenziatori. Quella scena con Furio è solo uno sporgersi un po’ di più per cercare di vedere il fondo dello strapiombo che ha davanti.

La vera resa viene lasciata in entrambi i casi all’ultimo, in una scena che Soavi e Manzini disegnano con la stessa epica dell’ultimo duello finale alla Sergio Leone. Ponte isolato e completamente contemporaneo, come il passaggio da un presente al futuro, che attraversa un fiume, simbolo del tempo che scorre e porta via esistenze e vita, con al centro una rotonda attorno ad un pilastro, quasi una svolta in una vita che finora si è appesantita di grandi bagagli, uno Schiavone solo, come all’inizio, con il suo cane sta camminando. La rotatoria è il punto in cui la scelta decide che percorso avrà la futura vita del vicequestore; poco prima di arrivarvi, completamente immerso nei filtri blu di un mondo che sembra come quelli nordici, sospesi in un limbo fantastico al di sopra della luce stessa, il nostro antieroe abbandona nell’acqua la pistola datagli da Furio per la sua incolumità. La macchina da presa si allontana da un lato, mentre il personaggio prosegue il suo cammino verso una fine desiderata da troppo tempo.

Ci sono delle pecche nella trasposizione televisiva che cancella come al solito pezzi che probabilmente sarebbe stato difficile, o lungo, da inserire ma che fanno apparire ad esempio Furio ad Aosta come dal nulla, mentre nel romanzo ha una sua logica, o Non spiegano che la Turrini è stata licenziata, o il ruolo del terrorista che si comprende essere implicato in qualcosa di cui si ha qualche accenno alla fine degli arresti e nulla più. L’indagine che fino ad oggi era un perno attorno al quale ruotava la vita di Schiavone passa un po’ in secondo piano e torna anche qui all’inizio, con il confronto fra Rocco e l’accompagnatrice arrestata, ricordando quel dialogo in sala interrogatori di “Pista nera” e rivendicando l’attenzione dello strano rapporto di Rocco con le donne. Ma c’è una pecca comune fra romanzo e trasposizione televisiva che proprio non mi va giù.
È certo che io sia fissata con la coerenza dei personaggi, ma qui Manzini perde un po’ di smalto nel dialogo, sostanzialmente identico su carta e a video, fra un’Anna inspiegabilmente disperata e un Rocco che la guarda, giustamente, come fosse un po’ una pazza. Ecco, Antonio, no, non ci siamo proprio. O Anna è una poco sana di mente e ha bisogno di un buon psicanalista per capire che due notti a letto non significano matrimonio certo, o, come penso io questo dialogo non s’aveva da scrivere né nel romanzo e tanto meno nella sceneggiatura. Appare fuori contesto e quanto mai fuori luogo che rappresenta una donna per me poco reale; avrebbe potuto mandarlo a stendere per essere stata sempre lasciata a metà nei discorsi nella Aosta della serie TV o per le chiamate non risposte nei libri o anche perché sparisce sempre in entrambe le versioni; ma “sentirselo dire fa male!”, con tanto singhiozzo e lacrime a volontà, dopo un “Non ti amo” è un po’ impietoso per la figura di una che ha fatto la gatta morta fregando “il ragazzo” all’amica. Questo è un po’ una sbavatura, l’unica evidente riguardante i personaggi, in questa serie di libri e filmati che mappano una vicenda che, a quanto pare, è solo agli inizi tenendo presente la seconda stagione.

Vorrei dirvi che mi mancherà il temine, che almeno nei primi due romanzi, mi ha fatto molto sorridere “spennazzare” ma non posso perché, leggendo “7-7-2007”, me lo sono nuovamente ritrovato e mi piacerebbe un sacco togliermi la curiosità di chiedere a Manzini da dove venga e perché i suoi personaggi “spennazzano” gli occhi e non li stropicciano o strabuzzano. È alquanto curiosa questa scelta, non trovate? Anche perché Manzini stesso insegna che i termini nei suoi libri non sono mai scelti a caso…
Finisce così la prima serie di post dedicati al primo gruppo di romanzi/racconti dedicata a Rocco Schiavone e relativa alla serie del 2016. È possibile che la prossima settimana non riesca a proseguire con la seconda stagione, ma è certo che arriveranno, anzi ritorneranno i post dei milioni di libri letti di cui dovrei scrivere e che affollano lo scaffale dei “da recensire” in parte perché è ora che li collochi nella loro posizione definitiva e in parte perché la signora che mi aiuta in casa potrebbe protestare perché, sono malata lo so, quello scaffale è off-limits per la paura che ne sconvolga la sequenza con cui sono appoggiati (dal più vecchio concluso al più nuovo).
In più, questo, è il primo post nella nuova collocazione del blog, con il nuovo format, non ancora completamente aggiornato, quindi mi corre l’obbligo di ricordarvi che se non trovate le vecchie recensioni e conoscete almeno il titolo, qui, l’unica cosa che funziona come una scheggia è la barra di ricerca, quindi, utilizzatela!
Buone letture,
Simona Scravaglieri

Le puntate precedenti:

Era di Maggio
Antonio Manzini
Sellerio Editori Palermo, Ed. 2015
Collana “La memoria”
Prezzo 14,00€

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