Il libro di oggi è uno di quelli che leggi con piacere, convinta che ti lascerà nel momento che lo chiudi, ma che per la parte di quello che ci impieghi a leggerlo sarà un bel passatempo. Fosse stato per la copertina magari non l’avrei preso – io odio i rettili tutti, tranne le tartarughe d’acqua!- ma il titolo così perentorio “I pregiudizi di Dio” non poteva passare inosservato. È uno dei libri della collana “Sabot/Age” diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto e lui è un autore che io ho conosciuto prima di sapere che cosa scrivesse visto che, con molta sportività, venne alla seconda edizione di “Non solo sòle” ad auto-stroncarsi davanti ad un pubblico di divertitissimi lettori.
Quello di oggi è un romanzo giallo che è ambientato nella provincia di Tivoli. Il posto non è ameno, è pieno di polvere e desolato e qui il capo della sezione della polizia locale sta aspettando che arrivi una nuova leva: il figlio di un politico che, vai a capire perché, è stato assegnato alla sua scalcagnata unità come se non avesse già abbastanza problemi da gestire. Un figlio e una suocera, senza una donna che gestisca questo strano ménage è già un problema se poi ci mettiamo gli attuali sottoposti che non sono dei particolari geni, ma come dargli torto che può succedere qui? Al massimo un incidente!
Poi arriva questo giovane raccomandato, che non si è mai particolarmente distinto. La sorella è stata investita di recente e lui abitava a Roma.
Ma c’è poco tempo per star li a chiedersi il perché e il per come. Un uomo arriva concitato in ufficio. La moglie è scomparsa mentre tornava in macchina a prendere qualcosa. Ha due figli e pare che il loro rapporto non avesse problemi. Invece la sparizione è strana perché stavano facendo una gita, hanno parcheggiato sul ciglio della strada ed erano scesi per andare a godersi il verde. Poi lei si ricorda di aver lasciato in macchina qualcosa e risale la china. Come può sparire in un attimo una persona? C’era qualcuno che l’aspettava? Si è allontanata fuggendo da una quotidianità troppo pesante o l’hanno proditoriamente portata via contro la sua volontà?
Nel frattempo la nuova leva è in ritardo…
Poldelmengo è stata una vera rivelazione con questo libro e mi direte “Alla buon’ora!”. In effetti ci arrivo con ritardo, ma si può dire che non sono mai stata particolarmente sul pezzo perché oltre a non amare film e serie TV italiani, io avevo smesso di leggere narrativa di questo genere perché sembrava che non si potesse scrivere altro che in stile Camilleri o Dan Brown o Faletti. Ne leggi uno, magari due, ma al terzo proprio ti viene a noia. E invece, come è avvenuto anche nel caso di Manzini, sono rimasta di nuovo stupita e devo fare nuovamente ammenda. Poldelmengo ha il senso del ritmo narrativo, ha un ottimo intuito nello spargere indizi che siano visibili e ti permettano di partecipare all’indagine, ha anche un bel modo di costruire la complessità dei suoi personaggi che non sono propriamente “il bellone all’ultimo grido”, ma ti ci affezionerai per quello che ti vorrebbero nascondere e che invece ti mostra l’autore. L’azione è sempre ben descritta, l’indagine ha un’architettura realistica, insomma niente ufo o bastoni del sapere nascosti chissà dove, c’è il senso dello spazio sia dove si svolge l’indagine principale sia nella distanza da Roma sia nello spazio fisico che in quello temporale: si fondono così bene che non è di fastidio il tornare ai vecchi ricordi perché la gestione del ricordo è così ben inserita nella storia che diventa gradevole la digressione. Il viaggio fisico è quel momento in cui il silenzio permette di tirare fuori pensieri fugaci che occupano lo spazio di qualche attimo e con perizia Poldelmengo ci inserisce rimandi e informazioni che diventano uno spartiacque che delimita il punto di partenza con quello di arrivo.

Quindi in fondo, al di là delle descrizioni, tutte utili e mai usate per allungare il brodo, andando oltre il caso che si nutre di tutta una serie di situazioni che lo rendono verosimile e vicino a noi, con un capo che è orientato a trovare al più presto una soluzione e che nel contempo deve tenere d’occhio i suoi sottoposti che tendono a fare un po’ tutti i cavoli loro -siamo italiani e non svedesi-, la vita ordinaria che entra nel bel mezzo di un caso – a spiegare gli atteggiamenti, sguardi fugaci o risentiti, dubbiosi o anche gli eventuali scoppi d’ira-, ci piace un bel po’ e ha un risultato inaspettato: io questo libro l’ho letto settimane fa e ancora ci penso. Ci penso talmente tanto che, nel bel mezzo della promozione del nuovo libro, che ho in lettura ora e di cui parleremo presto e totalmente diverso da quello di cui parliamo oggi perché ha un assetto da thriller, non ho resistito a chiedere se mai ci sarà un seguito. Io la risposta la so, ma non ve la dico!
In finale posso dire che questo non è un libro di cui mi libererò come faccio spesso con i lavori del genere, convinta che non li rileggerò; questo perché non è in effetti un giallo come lo intendiamo noi, è un vero e proprio romanzo che al suo interno comprende anche un caso di indagine. La vena noir è meno marcata, anche se i due personaggi principali hanno avuto una vita affatto facile fino al punto in cui li conosciamo ma non è quello il punto. Il punto è che in quella che sembra una fine di due vite che dopo aver subito una serie di scossoni si sono riorganizzate non in funzione della ricostruzione di un futuro bensì per la pura sopravvivenza delle rispettive famiglie, avviene un incontro dove entrambi si conoscono. Uno potrebbe essere utile al secondo e viceversa, e invece i pregiudizi, la difficoltà a raccontarsi connaturata nello spirito maschile che “non deve chiedere mai” li tiene sul filo del rasoio; si raccontano, poco, e intuiscono anche altro che non capiscono.
È nella naturalezza delle descrizioni di come si vedono, interagiscono, si incastrano e si scontrano che Poldemengo riesce in maniera mirabile a tenerti lì incollato e l’indagine non è che quel mezzo attraverso il quale è più facile raccontare una parte di sé. Il libro è piacevole da leggere perché la storia ha un bel ritmo, l’autore sa dosare quello che scrive e lo propone al suo lettore come un castone, è perfetto, non si dilunga perché non deve soverchiare i suoi lettori con una valanga di parole: lui ha dalla sua una storia che ha un peso specifico. Così rimani sospeso perché lo finisci in fretta e vorresti subito la seconda puntata e lui non chiude la porta. Rimangono una serie di sospesi anche se l’indagine e parte delle questioni aperte qui si concludono, quindi non rimane un libro incompleto. Rimane però la voglia di andare avanti, di capire se i due prima o poi si meneranno o troveranno il modo di allearsi, di capire come risolveranno quella vita impostata come sopravvivenza e che non può essere una soluzione finale e, infine, di vederli nuovamente agire sulla scena di un crimine.
Un libro davvero bello, interessante e meritevole di essere letto, ti lascia quel senso di aver visto un bel film – Poldelmengo è anche uno sceneggiatore non ve lo scordate!- senza però aver letto uno di quei tomi in cui anche per la punta di uno spillo si perdono 20 pagine. Insomma è un libro di soddisfazione anche per quelli che leggono molto lentamente, ha anche dei capitoli brevi quindi si può centellinare in tutta tranquillità, anche se, fidatevi, questo, una volta aperto, lo finite in un pomeriggio! Consigliatissimo, anche perché con qualcuno io ne devo parlare… eh!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
I pregiudizi di Dio
Luca Poldemengo
Edizioni E/O, ed. 2016
Collana “Sabot/Age”
Prezzo 16,00€