A volte lvivere la vita è un po' come giocare ai dadi, non sai che ti aspetta ed è una variabile non governabile
(Pixabay)

"Non stancarti di andare", Teresa Radice, Stefano Turconi – A volte le parole rendono meglio…

10 mins read

Un po’ mi scoccia dirlo, ho rimandato questa recensione per mesi, il libro credo di averlo letto ad ottobre, ed è davvero una bellissima storia ma, ha un unico grande difetto: non è una storia da grapich novel. Ha dei bei disegni con un tratto stupendo, ma l’architettura della trama fa proprio a cazzotti con il genere disegnato per vari motivi tra cui, il principale, è che il modo in cui si svolgono, di tavola in tavola, le vicende ne rallenta il ritmo nei punti sbagliati facendola in molti punti sembrare noiosa. Il risultato è tutto un po’ annacquato, il finale defilato e l’insieme sembra una storia d’amore che voleva essere diversa, perché ha da raccontare un sacco di cose, ma che invece non riesce ad esserlo fino in fondo.

La storia di oggi parla di due giovani: un siriano e una italiana molto innamorati e decisi a vivere insieme a casa della nonna di lei, vicino Genova. Lui, prima di conoscere lei, era un professore universitario, uno studioso e anche una guida per gruppi turistici, lei invece cercava la sua strada. Poi la visita ad un tempio, una notte stellata, un momento di chiacchiere che va oltre il consueto, scatta la scintilla. Siamo proprio all’inizio quando lui decide di ritornare in patria per mettere al sicuro le opere di un museo che sono a rischio per il possibile scoppio di una guerra: il conflitto arriva prima del previsto e Ismail non ha più un modo semplice per ritornare in Italia dalla sua Iris, ma non si perde d’animo e intraprende un cammino, che durerà mesi, sulle vie dell’emigrazione clandestina, mentre la sua fidanzata, pur non riuscendo a mettersi in contatto con lui, continua a sperare di riverderlo e frattanto scrive un emozionante diario.

la cover di "Non stancarti di andare" Una storia d'amore attraverso i flussi migratori
(Amazon)

Questa storia, come detto, è davvero bella: l’autrice introduce un sacco di filoni paralleli, che sembrano un po’ eccessivi perchè appunto asservendosi alla regola del fumetto -suppongo- hanno lunghezze diverse risultando o incompleti o decisamente devianti, ma sono funzionali a spiegare la sua strana situazione di ragazza giovanissima, decisa a vivere e creare una nuova famiglia, ma che alle spalle non ne ha mai avuta una tradizionale. C’è questo continuo sottolineare le contrapposizioni, anche perché Ismail sebbene se ne distacchi con evidente sollievo, viene invece da un mondo decisamente più ortodosso.
Contrapposizioni che uno si aspetterebbe di veder trattate e che invece qui sono date per scontato. Quindi la storia si sbilancia a favore di chi la racconta che ha tutto lo spazio per narrare le peripezie di famiglia e quanto queste abbiano contato sulle sue scelte di vita. E quindi c’è la contrapposizione con la madre, le evidenti influenze date dalle vicende di famiglia, il peso dei non detti, pensati o ipotizzati e chi più ne ha più ne metta. Ismail in questo caso ne viene in buona parte penalizzato, tranne in un punto in cui c’è un resoconto che si discosta un po’ dagli standard e che resoconta i difficili passaggi di frontiera, i sotterfugi, gli imbrogli e gli imbarchi. La trafila dello studioso è una vera e propria via crucis in linea con tantissimi racconti similari fatti dai profughi.

È praticamente la parte più pregiata di questo lavoro ed è forse l’unica che rende, nel suo fluire, nella distribuzione delle vignette: chiede infatti un ritmo diverso, dovuto ai tempi diversi in cui si svolgono le vicende, e i tempi battono perfettamente rendendo l’idea. Altro punto in cui il disegno aiuta è quando deve rendere la confusione delle strade di Damasco o dei mercati. Ma per un romanzo, che in parte sembra di formazione, perchè Iris è una giovane donna che scopre che l’idea che si era fatta di sé stessa e della sua vita deve essere messa in discussione in un momento in cui la vita stessa la mette alla prova fisicamente ed emozionalmente, la trasposizione disegnata non riesce a trovare una cadenza adeguata e non può rappresentare tutto: ne vengono fuori molte pagine di diario scritte e altrettante riflessioni che vengono splittate in lunghe sequenze di dialogo che però hanno come risultato di sembrare note stonate. Non sono praticissima del genere, ma, per me, l’interiorizzazione e la riflessione trasposte in un disegno sono e devono essere solo immagine; in questo caso invece, necessitando – a ragione- di più parole e, l’unica immagine, diventa un piano sequenza che invece stona con l’idea della riflessione.
Quindi in alcuni punti l’insieme risulta pesante, in altri poco chiaro e in generale ti lascia l’idea che se si fosse derogato alla parola soltanto la resa dell’insieme sarebbe stata decisamente diversa e probabilmente più di peso. Non c’è differenza fra un momento e l’altro della scalata alla scoperta di sé, si sente il tempo che passa ma non l’evoluzione e in particolare non si percepisce il confronto fra ricordo effettivo e quello invece percepito che poi sarebbe la molla che fa scattare questa presa di coscienza.

I disegni per contro sono davvero ben fatti e in particolare riescono graficamente a rendere l’idea anche con una pragmatica sintesi di segni. Mi spiego meglio: è una cosa che si riesce a vedere meglio nella rappresentazione architettonica che in quella fisica dei personaggi. Un palazzo come quelli di cui si narra qui, come quelli nelle cittadelle e resti di una antichità di peso fatta di decorazioni pittoriche e scultoree, solitamente vengono, nel disegno, rese non in toto, specie se la scena è già piena di soggetti,: occorre fare una sintesi grafica per rendere l’idea di questi paesaggi ricchi di particolari. La sintesi però non deve togliere ma deve restituire al lettore l’insieme e l’immagine di quello che si sta rappresentando. Ecco, sia per le persone che per gli oggetti, l’autrice di questi disegni riesce a trovare graficamente quella sintesi che le permetta di rendere particolareggiata la rappresentazione ma al contempo a non farla sembrare confusa. Non c’è un tratto, un segno o un simbolo in eccesso ed è tutto dosato in maniera che sia piacevole da vedere sia per chi se ne intende, e apprezza il genere, e sia per chi invece non è avvezzo a questo tipo di racconto grafico.
Non commenterò i colori, non sono nemmeno certa che ci siano, perché io non ho letto la versione cartacea ma quella digitale.

Insomma la storia c’è, c’è anche come detto tanta carne al fuoco per quanto riguarda le influenze che agiscono sulla famiglia italiana: desaparecidos, le rivoluzioni culturali che si sono alternate nelle correnti del ‘900, l’evoluzione del concetto di famiglia, allargata, diversa dalle precedenti formazioni. L’insieme avrebbe molto da dire ma non riesce ad essere omogeneo perché forse ha troppo o troppo poco spazio. Ne viene fuori un romanzo grafico un po’ pesante, noioso perchè passi dalla grafica al diario scritto e lo stacco, dopo un po’, non è piacevole e l’insieme viene percepito come un po’ troppo lungo. Se la stessa sintesi, applicata nella grafica, si fosse applicata al plot di questa storia probabilmente avrebbe avuto migliore resa ma, per me, versione migliore sarebbe venuta fuori utilizzando solo la scrittura. Ne sarebbe uscito un insieme con più mordente dove l’introspezione la riflessione e la storia di questa famiglia avrebbero potuto trovare la giusta valorizzazione con un testo, magari più complesso, ma di sicuro impatto. È un vero peccato, l’avrei davvero voluta promuovere a pieni voti.

Buone letture,
Simona Scravaglieri

Non stancarti di andare
Teresa Radice, Stefano Turconi
Bao Publishing, ed.2017
Prezzo 27,00€

2 Comments

  1. Tu, comunque, sei bravissima. Come farete voi blogger impegnate a scrivere di un libro dopo 5 mesi dalla lettura è un mistero che qualcuno, prima o poi, dovrà svelarmi. E poi, tu non lasci briciole, così due cosette tanto per dar l’idea del libro letto, nonoo. Tu fai una bella ricostruzione dettagliata, come in questo caso. Io, per quanto prenda appunti, sottolinei, evidenzi, se non scrivo un post subito, è finita. Di quel libro, di quel viaggio, di quella camminata non resterà alcuna traccia sul mio blog.
    Invidio la tua straordinaria capacità, mia cara.
    La nuova veste del blog è magnifica.

    • Eh non lo so come faccio. Lo faccio e basta. In questo caso è un libro che mi è rimasto un po’ di traverso perché, al netto di questa lungaggine dovuta al mezzo per raccontarla, ha davvero tanti lati positivi. Ma la scelta di come narrarla la danneggia e non poco!
      Grazie per i complimenti per lo spazio del blog che è ancora in ristrutturazione… Mi mancano solo millemila post da armonizzare ma ce la farò! ❤️

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Una storia ambientata a Trastevere un quartiere romano quella di Paolo Morelli di Né in cielo e né in terra
Previous Story

"Né in cielo e né in terra", Paolo Morelli - La resilienza nella memoria...

Quando leggi un libro gillo e scopri un autore bravissimo
Previous Story

"Il maestro di nodi", Massimo Carlotto - L'eleganza nello sguardo...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: