Lo scorso Novembre avevo recensito “Imperial Bedrooms“, il seguito di questo libro, e, quando mi è capitato di parlare di questo autore in qualche gruppo, mi è stato fatto notare che, forse, il seguito non fosse adeguato rispetto al primo successo, ovvero Meno di zero, e che, riprendere in mano dopo tanti anni certi argomenti, poteva indurre facilmente chi non conosceva Easton Ellis in errore. Quindi, visto che sono effettivamente un’autolesionista, ho comperato non solo questo libro ma anche l’altro “capolavoro”, a detta della critica, di questo autore che si intitola “American Psycho”.
La storia

La trama di Meno di zero è presto detta: Clay, giovane matricola universitaria nel New Hampshire, torna a casa per le vacanze natalizie a Los Angeles. “A casa” si fa per dire, è figlio di una coppia divorziata. Padre business-man con la mania delle mode e dei ritocchini estetici.
Madre annebbiata dall’alcool che non riesce a negare nemmeno al figlio e alle due sorelle, già avviati alla droga e l’alcool nonché allo shopping compulsivo a 11 e 13 anni, assolutamente nulla.
Gli amici di Clay, che incontra durante queste prolungate vacanze, passano il tempo a saltare da un letto ad un altro, a scambiarsi dritte sulle nuove mode e i nuovi gruppi di cantanti e, fra una chiacchiera annebbiata e una festa e qualche buco e numerosi bicchieri di vino e liquori, si fanno di Valium e di cocaina.
Quindi le 185 pagine di questo libro, sostanzialmente, raccontano di questo e della storia inesistente fra il 18enne Clay e la sua amica Blair.
C’è esercizio e Esercizio
Premessa, questo libro fa parte della tesi finale del corso di “scrittura creativa” seguito dall’autore ai tempi dell’università. Quindi dire che questo testo è un esercizio di stile non è un’offesa, ma realtà.
È un esercizio di stile, perché non c’è trama ma solo un susseguirsi di eventi, raccontati, sì, con uno stile diverso visto che è un continuo susseguirsi di “Lui dice che…” e “Io dico che…” come veramente fossimo in mezzo ad un gruppo di giovani. Nel caso specifico a me ricorda tanto quelle chiacchiere che si fanno fra ragazzine “Perché io l’ho guardato…e quando lui mi ha riguardato…io ho voltato lo sguardo…così facevo finta che non lo stavo guardando!“.
E se questo era l’obiettivo, è stato perfettamente centrato, solo che, a questo punto, non regge che il medesimo stile sia seguito anche nel seguito uscito a Novembre 2010 e tanto osannato da Fazio a “Che tempo che fa”.
Il dilemma delle settimane
In più, parlando di costruzione proprio del testo c’è anche qualcosa che non va, ovvero: il racconto si apre con Clay che dichiara di tornare a casa per 4 settimane per le vacanze di Natale. Nelle ultime 50 pagine c’è una piccola svista: si descrive gli ultimi 5 giorni di Clay, parlando di una uscita fatta con il suo amico Julian, e poi nel paragrafo successivo (questo libro non ha capitoli!) viene chiaramente detto che Clay passa l’ultima settimana chiuso a casa e successivamente si fa sempre riferimento all’ultima settimana dicendo che Clay esce per delle feste. Quindi o i mesi di L.A. durano 3 settimane più del normale o qualche errore c’è!
Poteva esercitarsi meglio
Non conoscendo la critica dell’epoca ma conoscendo come ero io ai tempi, che sembrano quelli sul finire anni ’70 inizi anni ’80 (all’epoca ero una bambina), non credo che nemmeno nell’adolescenza avrei apprezzato questo scritto. Principalmente perché è un esercizio di stile e quindi non ha trama o significante, ma è solo una sequenza di situazioni.
La descrizione a mo’ di cronaca non evidenzia il motivo che lo spinge a scriverne e mortifica anche quell’impegno dell’autore nel mostrare, per un momento, con chiarezza quel che vorrebbe descrivere, ovvero una gioventù ricca e annoiata che scivola lentamente verso la perdizione certa. Questo perché nell’ansia di rendere vivide le scene che descrive non approfondisce i personaggi e, per sottolineare quanto siano superficiali, alla fin fine non li descrive per nulla.
In conclusione
E’ uno i quei libri che non possono essere catalogati classici perché passa nella vita del lettore lasciando il nulla cosmico, appartenendo a quella categoria di libri che, appena finiti, già non te li ricordi più, al pari di quei serie, tutte uguali, di cui ci si ricorda il nome ma mai le vicende narrate, perché hanno fatto parte di un attimo della nostra vita e poi sono scomparse nell’oblio eterno, non perché siamo sommersi o bombardati da nuovi libri e altre serie telefilm, ma solo perché non avevano nulla da dirci. Che dire, un libro decisamente inutile o riprendendo il titolo assegnatogli è un “Meno di zero”. Mai titolo fu più pertinente!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Meno di zero
Bret Easton Ellis
Einaudi Editore,Ed, 1985 – Ristampa del 1996
Collana “ET Scrittori”
Prezzo 10,00€
Sei stata spietata con BEE!
Io non ho letto niente di suo né credo che lo farò, Oltretutto, è un autore molto snob pur non avendo al suo attivo nulla di eccezionale che possa giustificare tale atteggiamento.
Credo che avesse ragione DFW a stupirsi del suo successo?
Paola C. Sabatini
Guarda, a dirla tutta, ancora oggi mi chiedo che ci sia di speciale in Easton Ellis… Diciamo che per quanto mi riguarda non perdi nulla e che Wallace aveva ragione da vendere!