Il problema di questo libro è che non crederesti mai che, un autore dalla faccetta tanto angelica, possa costruire un romanzo così teso da farti dire, all’ennesima chiamata telefonica che interrompe il momento clou: “Senti ti richiamo che devo finire un libro”. Cosa peraltro che ho realmente fatto -scusa Massimo!-.
La cosa buona è che posso certificare che la tensione succitata tiene bene anche se ti interrompono spesso, come è successo a me che, da giovedì scorso ad oggi, ho avuto più impegni della regina d’Inghilterra.
La parte brutta è che ti rimane quel maledetto pallino in testa tutto il giorno nell’attesa di capire che cosa deve ancora capitare al povero Mark e a suo figlio Nathan, se la situazione avrà finalmente una svolta a loro favore e sopratutto non avrai pace finché non saprai come va a finire.
Siamo ad Edimburgo e più precisamente a Portobello Beach, c’è il mare, la spiaggia, un po’ tanto vento e una serie di persone che scrutano preoccupate e incuriosite l’orizzonte; c’è il natante della guardia costiera a largo, perché l’avvenimento del momento è un gruppo di balene che rischia di sbagliare rotta e finire sulla spiaggia. Ne parlano tutti pure a scuola, la maestra di Nathan ha fatto una lezione sulle dinamiche del gruppo di cetacei.
È la stessa maestra che chiama Mark, proprio nel giorno in cui inizia questa strana vicenda: nessuno è andato a prendere il piccolo e non può stare troppo oltre le lezioni a scuola. Mark è costretto ad interrompere il suo lavoro, per una testata locale, il cui compito del giorno era fotografare le balene per un servizio che stanno scrivendo in redazione.
Assicura alla maestra che andrà subito a prendere il figlio. Doveva andarci Lauren, sua moglie, ma pare essersi scordata, come al solito non risponde al telefono, che magari ha dimenticato di mettere in carica; forse, è ancora al lavoro.
Nathan e Mark tornano a casa, giocano insieme, arriva l’ora di cena e infine quella di andare a letto ma solo dopo la storia.
Mark torna in cucina, guarda l’orologio, chiama, il telefono è ancora spento e, di sua moglie, nessuno degli amici e conoscenti ha notizie.
C’è un passato che ha ridefinito, negli ultimi sei anni, l’assetto della vita di questa famiglia che fa guardare al futuro sempre con un dubbio, o meglio, con una latente remora. Le ore passano, nessuna notizia ma è troppo presto per una denuncia…
All’inizio ho scritto in giro che stavo leggendo un thriller ma, a libro finito, ho difficoltà ad inquadrarlo solo in una categoria. È vero che sembra essere diviso in due parti: la prima che costruisce le basi alla seconda, ma è anche vero che nelle due parti avvengono un sacco di cose e che quelle della prima, una volta arrivati a cento pagine dalla fine, sembrano nulla in confronto a quel che ti trovi a leggere.
Ma è vero anche che è costruito con una tecnica non usata così di frequente nella narrativa che solitamente è riconosciuta come ricercata, ovvero con quel particolare modo che vede l’autore non presentare direttamente i suoi personaggi se non attraverso il loro passato. E questo modo di scrivere regala una forma più rotonda e realistica a tutti i personaggi che non sono solo la semplice somma di caratteristiche fisiche e caratteriali ma anche l’insieme delle esperienze, scelte e azioni che hanno definito il loro “io” nel presente in cui noi li conosciamo. Così Mark non è solo un padre fotografo, è un uomo che è cresciuto nella solitudine e ha trovato una definizione di se stesso in Lauren che, per contro, una famiglia l’ha avuta, forse pure troppo. Lui è uno che una figura paterna non l’ha avuta eppure non ha alcun problema a gestire il rapporto con Nathan che per contro vive un rapporto con il genitore, non tra padre e figlio, ma da fratello minore a fratello maggiore. E Nathan è quel “personaggio chiave” che riporta tutto ciò che succede ad uno stato di calma apparente, permettendo a tutti quelli che gli satellitano accanto, e forse anche a noi lettori, di mettere l’insieme delle vicende in prospettiva. È al contempo una persona diversa dai due genitori ma nello stesso tempo ne ha ereditato caratteristiche fisiche o caratteriali atte a farlo diventare un memento o anche uno stimolo a seconda del momento.

Una amica mi ha letto un commento ad un libro che ho deciso che non fa per me, è una definizione che, è un po’ una frase fatta, ma che in questo caso serve un po’ a dare l’idea del perno su cui ruotano le vicende: l’assenza pesa più della presenza.
Lauren non c’è, non la si vede mai è sfocata anche nei ricordi sebbene sia nominata spesso, non la si descrive poi molto, nemmeno quando ad un certo punto la vicenda ha una svolta. Il punto infatti fino ad un certo punto non è che fine abbia fatto, dopotutto sarebbe potuto sparire chiunque altro? No, ma non perché sia la madre di Nathan e nemmeno perché è la moglie di Mark. Lauren è il punto d’incontro della parte nuova, ovvero della famigliola che si è creata, e del vecchio, che è un passato che incombe nei non detti o nelle remore o anche nei rapporti. Il mondo di Lauren è quello che ha fatto sì che, una famiglia di due giovani sconclusionati, sia divenuta una famiglia borghese che vive nella periferia buona di Edimburgo ma anche il lato oscuro di un mondo che frequenta per lavoro e che Mark non conosce affatto. Lauren è quasi fisicamente le due parti dello stesso romanzo.
Una parte è come un romanzo di formazione, che narra l’evoluzione di due giovani, con la presa di coscienza di se stessi, della percezione che si ha del mondo e delle cose che lo compongono e del ruolo che si ricopre nel meccanismo. Rappresenta un futuro possibile, la serenità di sapere naturalmente le cose e di saperle mettere in prospettiva e al contempo è il punto di riferimento per padre e figlio.
L’altra parte è un noir con una marcata vena thrilleristica che trasforma questa assenza nel pensiero di un silenzio durato dieci giorni che fa paura chiedere o spiegare, una scoperta scomoda e paurosa, un’assenza ingiustificata e infine in un mistero da risolvere.
È per questo motivo che non hai un’attimo di pace nel leggerlo, perché ad ogni pagina, ogni nuova informazione modifica l’immagine che hai di questo nucleo familiare e di quello che gli sta succedendo attorno. E rimane difficile capire come sia riuscito l’autore a mantenere questo costante senso di realismo con tanti accadimenti che si susseguono senza soluzione di continuità e io me lo spiego solo in parte.
Infatti lui fa lo scrittore e io la lettrice, direte voi, è probabile credo sia la giusta risposta finale.
Potremmo dire che rimane realistico nella misura in cui Nathan riporta in prospettiva la sequela di eventi che accadono, irrompendo nelle stanze, facendo domande e cercando conferme, lo rimane perché i personaggi che popolano queste pagine vengono presentati tutti con un passato consistente ma accennato qui e lì così da non pesare sulla scorrevolezza del racconto. Lo è anche per eventi delle due parti che si intersecano qui e lì, rendendole effettivamente correlate, e, al contempo, aprendo a quella tensione di un’anomalia paurosa che irrompe nella vita tranquilla di una famiglia qualunque.
Il tutto scorre che è un piacere, senza soluzione si lascia leggere senza problemi proprio come un thriller che punta tutto sull’architettura della storia, e quindi non cerca elementi di disturbo nella scrittura, ma senza tralasciare l’attenzione nella forma narrativa come un romanzo, che rifugge invece da una scrittura sciatta e senza una bella forma. Il connubio che ne esce è armonico e piacevole. Probabilmente quando lo aprirete farete come me che sul comodino avevo quattro bei libri impilati da finire che ho bellamente ignorato per capire dove andava a parare questa vicenda. Ho fatto di tutto per non fare alcun spoiler e spero di esserci riuscita. Libro consigliatissimo!
Buone letture,
Simona Scravaglieri
L’ultima volta
Doug Johnstone
CasaSirio editore, ed. 2018
Traduzione a cura di Alessandra Brunetti
Collana “I riottosi”
Prezzo 16,00€